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COVID-19: la gravità dei sintomi può dipendere dal microbiota intestinale

Il microbiota di pazienti COVID ha mostrato notevoli alterazioni direttamente correlate con la gravità della manifestazione clinica.
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COVID-19: la gravità dei sintomi può dipendere dal microbiota intestinale

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Stato dell'arte
Nonostante l’infezione da COVID-19 interessi principalmente l’apparato respiratorio, sempre più evidente è anche l’impatto gastrointestinale. Se e come la popolazione batterica locale ne sia influenzata o correlata rimane da definire.
Cosa aggiunge questa ricerca
Scopo dello studio è stato quello di valutare se il microbioma sia correlato con la gravità della malattia e se sue eventuali alterazioni si risolvano con la risoluzione dell’infezione.
Conclusioni
Il microbioma intestinale di pazienti COVID ha mostrato notevoli alterazioni rispetto ai controlli sani indipendentemente dal trattamento farmacologico, ma direttamente correlate con la gravità della manifestazione clinica. La disbiosi ha inoltre mostrato di permanere dopo la risoluzione dell’infezione.

In questo articolo

L’infezione da Sars-CoV-2 o COVID-19 non compromette soltanto l’apparato respiratorio, ma anche quello gastrointestinale, microbiota locale incluso. Nei pazienti ricoverati, infatti, non soltanto è stata osservata un’alterazione nel profilo batterico con la deplezione di batteri coinvolti nell’immunomodulazione come Faecalibacterium prausnitzii o Eubacterium rectale, ma anche una correlazione del grado di disbiosi con quello della gravità clinica. Una volta risolta l’infezione, la disbiosi sembrerebbe però mantenuta.

Lo dimostra lo studio di Yun Kit Yeoh e colleghi della The Chinese University of Hong Kong (Cina), recentemente pubblicato su Gut microbiota.

Coronavirus e intestino: lo studio cinese

Nonostante le crescenti evidenze a sostegno dell’interessamento dell’apparato gastrointestinale nell’infezione da COVID-19, se e come varia la componente batterica locale rimaneva (fino a questo studio) ancora poco esplorata.

Considerando però il ruolo centrale del microbioma intestinale nella salute dell’individuo questo aspetto merita un approfondimento. I ricercatori cinesi hanno quindi confrontato parametri ematici e campioni fecali di 100 pazienti COVID durante l’ospedalizzazione e fino a 30 giorni dopo le dimissioni per risoluzione dell’infezione.

Di questi, solo 27 hanno però fornito tutti i campioni nel post-dimissione; 78 soggetti non-COVID sono stati poi inclusi come controlli. Ecco cosa si è visto.

Confrontando i campioni dei pazienti COVID durante l’ospedalizzazione e controlli:

  • a livello di phylum, membri di Bacteroidetes hanno mostrato un’abbondanza relativa maggiore nel gruppo COVID (23,9% vs 12,8%). Di contro, Actinobacteria hanno registrato un’espressione più elevata nei controlli (26,1% vs 19%)
  • a livello di specie, associazione è stata riscontrata tra infezione e antibiotici, ma non con la carica virale fecale o altri farmaci. Considerando il fattore antibiotici, un arricchimento nei pazienti COVID è stato visto in Parabacteroides, Sutterella wadsworthensis e Bacteroides caccae contrapposto a una deplezione di Adlercreutzia equolifaciens, Dorea formicigenerans e Clostridium leptum. Questi taxa sono risultati però solo l’0,1% della popolazione totale
  • nonostante le distinzioni di composizione, nessuna differenza di ricchezza e diversità è stata osservata tra i due gruppi

Faecalibacterium prausnitzii e Bifidobacterium bifidum: batteri protettivi?

All’interno del gruppo COVID poi, i campioni raccolti durante l’ospedalizzazione (n=87) hanno mostrato associazione significativa con la gravità della malattia e, in misura minore, con l’uso di antibiotici. In particolare, F. prausnitzii e Bifidobacterium bifidum hanno registrato correlazione negativa.

Confrontando poi i parametri clinici, la concentrazione di citochine infiammatorie, chemochine e marcatori di danno tissutale sono risultati correlati alla composizione del microbioma intestinale, C-X-C motif ligand 10 (CXCL10), IL-10, tumour necrosis factor-α (TNF-α), aspartate aminotransferase (AST), gamma-glutamyltransferase (GGT), proteina C-reattiva (CRP), lattioc deidrogenasi (LDH), frammento amminoterminale del pro peptide natriuretico di tipo B (NT-proBNP) e il tasso di sedimentazione eritrocitaria in particolare.

Suggerita sembrerebbe essere quindi l’associazione tra le risposta immunitaria e le caratteristiche batteriche. Nel gruppo COVID infatti:

  • sei specie hanno registrato una minor espressione correlata negativamente con CXCL10, cinque con IL-10 e due con TNF-α and C-C motif ligand 2 (CCL2). Queste includono B. adolescentis, E. rectale e F. prausnitzii, noti attori della regolazione immunitaria
  • associazione positiva invece tra B. dorei e Akkermansia muciniphila con IL-1β, IL-6 and C-X-C motif ligand 8 (CXCL8)

La disbiosi batterica non sembra però risolversi con l’infezione. In 42 campioni fecali prelevati da 27 pazienti fino a 30 giorni dalle dimissioni, rispetto ai controlli, è stato infatti registrato un aumento di specie quali Bifidobacterium dentium e Lactobacillus ruminis indipendentemente dalla somministrazione antibiotica e contrapposta a una diminuzione di E. rectale, R. bromii, F. prausnitzii e Bifidobacterium longum

La terapia antibiotica ha poi dimostrato una non-correlazione con il miglioramento clinico dei pazienti. Di contro, il perdurare della disbiosi potrebbe essere una spiegazione della sintomatologia e di sindromi infiammatorie presenti anche in seguito all’eliminazione del virus.

Un approccio mirato al ristoro dell’eubiosi intestinale potrebbe quindi facilitare la remissione della malattia e della sintomatologia correlata.

Silvia Radrezza
Laureata in Farmacia presso l’Univ. degli Studi di Ferrara, consegue un Master di 1° livello in Ricerca Clinica all’ Univ. degli Studi di Milano. Borsista all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS dal 2017 al 2018, è ora post-doc presso Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics a Dresda (Germania).

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