Sono diversi gli studi pubblicati che indagano il rapporto tra specifici ceppi batterici presenti nel nostro intestino e la longevità. Ma esiste davvero un nesso tra microbiota intestinale e aspettativa di vita?
È quello che sembrerebbe dai risultati ottenuti da uno studio internazionale, pubblicato di recente in Scientific Reports, e condotto su 35 modelli di topo appartenenti a una specie africana particolare denominata Heterocephalus glaber o naked mole-rat.
Come mai tanto interesse per una specie così singolare? Oltre ad avere un’alta longevità, 30 anni, cioè 8 volte in più rispetto ai topi e ratti comuni, i naked mole-rat mostrano una degenerazione cellulare legata all’età molto meno marcata rispetto al “normale” decorso oltre che un’elevata tolleranza allo stress ossidativo, a sostanze chemioterapiche e altri veleni, ai danni al DNA e a quelli provocati da metalli pesanti.
Sembrano infine essere meno soggetti anche alla proliferazione incontrollata di cellule e quindi allo sviluppo di cancro.
Molte potrebbero essere le spiegazioni di una qualità di vita così elevata come per esempio una dieta e un clima costante o un ecosistema protetto.
Ma potrebbe in qualche modo essere coinvolto anche il microbioma intestinale: ed è questo l’obiettivo su cui hanno lavorato gli autori di questo studio.
Grazie alla codifica genetica dei campioni fecali prelevati, Debebe T. et al. hanno potuto analizzare la composizione del microbioma dell’eterocefalo glabro mettendolo poi a confronto con quello del topo comune, di altri mammiferi e dell’uomo occidentale e rurale.
Microbiota intestinale e longevità: l’importanza del metabolismo ossidativo
Notevoli sono le differenze sia in termini di composizione del microbioma sia nel suo “meccanismo” di funzionamento interno.
In particolare nei campioni dei modelli in esame è emerso che:
- La specie batterica prevalente appartiene ai Firmicutes (41% circa) ed è seguita da Bacteroides (30% circa). Tra le specie del phylum Firmicutes principalmente troviamo la famiglia Lachnospiraceae mentre tra i Bacteroides quella della Prevotellaceae, a differenza dei campioni umani dove questa specie è poco presente;
- Rilevante è la presenza di specie batteriche in grado di sfruttare i solfati o altri composti a base di zolfo come accettori di elettroni per il processo ossidativo e/o di fermentazione. Tra queste troviamo ad esempio, le Desulfovibrionaceae e le Desulfarculaceae. Queste ultime inoltre non sono mai state riscontrate nel microbioma di altri animali.
- La via di metabolismo ossidativo è molto più pronunciata rispetto altri modelli di confronto oltre che a quella di fermentazione del cibo. Quest’ultima permette ai topi nudi di ricavare dalle piante una concentrazione di acidi grassi a catena corta (acetato, propionato, butirrato ecc) notevolmente superiore a quella riscontrata nei campioni dell’individuo occidentale. È stato precedentemente dimostrato come questi metaboliti abbiamo un ruolo protettivo per l’epitelio intestinale riducendo il rischio di patologie infiammatorie e/o tumorali.
- Anche la via di metabolismo dei carboidrati è ben rappresentata. A differenza degli altri modelli, tuttavia, gli Heterocephalus glaber li ingeriscono soprattutto sotto forma di zuccheri semplici quali il fruttosio e altri mono/di-saccaridi. Zuccheri di questo tipo, essendo facilmente trasportati nel sangue liberando ossigeno, sono utili in condizioni di ipo-anossia (mancanza di ossigeno) dato il suo habitat sotterraneo.
Confrontando poi i campioni della specie in esame con quelli di individui della tribù di Hadza (Tanzania) sono state riscontrate le stesse famiglie di Bacteroides oltre che il genere Spirochaetaceae, con 15 varietà di specie, e quello Treponema. Quest’ultimo è stato definito un “vecchio amico” anche se non più presente nel microbioma dell’uomo civilizzato probabilmente a causa del notevole cambiamento delle abitudini alimentari.
Ulteriore analogia di famiglia la si è trovata confrontando i 35 campioni con quelli di individui anziani. Mogibacteriaceae è risultato in quantità comparabile tra i microbiomi di ultracentenari e quelli dei modelli in studio nonostante l’ecosistema di crescita sia stato totalmente diverso.
In conclusione, questo lavoro di ricerca ha confermato l’importanza del microbioma intestinale nel garantire la salute e la capacità adattiva dell’ospite.
La propensione per un metabolismo ossidativo, l’elevata capacità di sintetizzare acidi grassi a catena corta, la peculiare composizione del genere Bacteroides, l’ampia varietà di quello delle Spirochetaceae e la presenza del genere Mogibacteriaceae, rendono il microbioma di questa particolare specie murina, un modello interessante da analizzare per ottenere importanti informazioni da poter applicare per migliorare la longevità e la qualità di vita.
Essendo questi dati, seppur molto promettenti, i primi ottenuti da questo modello animale sono da considerarsi preliminari.