I glicano solfati sono presenti in molte specie, dalle piante all’uomo, nelle quali svolgono diverse funzioni chiave per la biologia della cellula, oltre a essere importanti fonti di nutrienti per i microbi, che per metabolizzarli utilizzano enzimi chiamati solfatasi dei carboidrati.
Una nuova ricerca spiega come i batteri intestinali umani riconoscono i glicano solfati.
I risultati, pubblicati su Nature Chemical Biology, rivelano in particolare che le solfatasi dei carboidrati sono altamente selettive.
Implicazioni cliniche
Questa scoperta potrebbe aiutare i ricercatori a comprendere il ruolo che questi enzimi svolgono nella scomposizione dei glicani dell’ospite e a sviluppare interventi per contrastare le malattie caratterizzate da alterazioni del metabolismo dei glicani solfati.
«Finora sono state descritte solo 14 strutture delle solfatasi di carboidrati e solo otto di queste sono state riportate in complesso con un ligando», affermano i ricercatori. Queste proteine, aggiungono, sono tra gli enzimi meno caratterizzati fino ad oggi.
Alan Cartmell dell’Università di Liverpool, Ana Luis dell’Università di Göteborg e dell’Università del Michigan e i loro colleghi hanno quindi deciso di risolvere la struttura delle sulfatasi di carboidrati appartenenti alla famiglia S1, di cui fanno parte circa il 90% di tutte le solfatasi di carboidrati finora conosciute.
Enzimi prodotti dai Bacteroidetes
Le sulfatasi sono state espresse dai batteri Bacteroidetes, che sono comuni sia nel microbiota intestinale umano sia negli ambienti marini.
Mediante esperimenti di cristallografia i ricercatori hanno identificato le strutture di sette solfatasi di carboidrati appartenenti a quattro sottofamiglie S1.
Il team ha così scoperto che la struttura delle diverse solfatasi S1 è perlopiù conservata. Tuttavia, le differenze nelle regioni proteiche non conservate sembravano conferire a ciascun enzima la specificità verso i diversi glicani.
In particolare, è stato osservato che all’interno di una specifica sottofamiglia di sulfatasi S1 prodotte dai batteri intestinali Firmicutes e Bacteroidetes, tutti i residui proteici chiave sono stati fortemente conservati ad eccezione di uno, che è conservato nei Bacteroidetes ma è per lo più assente nei Firmicutes.
«Queste caratteristiche di riconoscimento conservate si trovano anche in diversi patogeni e in un singolo ceppo di C. difficile non patogeno, che sembra prevenire l’infezione di ceppi patogeni» affermano i ricercatori.
Conclusioni
«La specificità delle solfatasi S1 consente di modificarne la funzione e di utilizzarle per sviluppare sia strumenti in grado di analizzare il metabolismo dei glicano solfati sia trattamenti per le malattie caratterizzate da alterazioni del metabolismo di queste molecole» concludono i ricercatori.