Un supplemento di vitamina D sembrerebbe essere utile nel ridurre le recidive e la gravità delle infezioni da Clostridium difficile favorendo un incremento di batteri buoni quali Bifidobacteriaceae e Christensenellaceae.
È quanto dimostra lo studio di Sang Hoon Lee e colleghi della Kangwon National University School of Medicine (Sud Corea) di recente pubblicato su Frontiers in Cellular and Infection Microbiology.
Clostridium difficile: le terapie disponibili
L’infezione da C. difficile (CDI) è una delle cause di infezioni nosocomiali con un incidenza e tasso di mortalità in costante incremento.
Le attuali terapie includono l’uso di antibiotici orali (vancomicina o metronidazolo) sebbene siano inappropriati per le forme più gravi e ricorrenti.
Con l’obiettivo di sostenere il sistema immunitario ripristinando una corretta flora batterica intestinale, il trapianto di microbiota fecale ha recentemente mostrato un buon successo. Inefficacia è stata tuttavia registrata in alcuni casi. Quali sono dunque gli altri fattori influenzanti la buona riuscita della terapia?
È stato dimostrato come una carenza di vitamina D (< 20 ng/ml) sia correlata a un incremento nel rischio di infezioni oltre a una loro maggiore gravità e ricorrenza.
Un suo supplemento sembrerebbe, quindi, essere utile nel contrastare infezioni, CDI inclusa. Che impatto abbia nella popolazione batterica commensale rimaneva, fino a questo studio, tuttavia da chiarire.
Vitamina D e microbiota intestinale
È stato quindi confrontato Il microbiota intestinale di pazienti positivi per CDI, trattati con vancomicina (14 giorni, 125 mg) e carenti di vitamina D (< 17 ng/ml) con (200.000 IU/die, intramuscolo; n=10) o senza (n=8) un suo supplemento. Ecco quanto emerso.
Partendo dall’analisi del microbiota all’inizio e alla fine dell’infezione (8 settimane) si è visto come l’alfa diversità sia aumentata con la guarigione. Andamento opposto invece per la beta diversità.
Entrando più nel dettaglio invece:
- a livello di specie, Proteobacteria (Enterobacteriaceae e Sutterellaceae) e Enterococcaceae, hanno mostrato un incremento durante l’infezione per poi diminuire
- di contro, un aumento si è registrato per i batteri commensali nel periodo di guarigione
- un aumento significativo con la guarigione si è registrato ad esempio per ceppi producenti acidi grassi a catena corta (SCFAs) come Lachnospiraceae o Ruminococcaceae oltre che a Bifidobacteriaceae e Christensenellaceae
- con la guarigione si è inoltre osservata una diminuzione di Proteobacteria correlabile a un aumento di Lachnospiraceae e Ruminococcaceae
La vitamina D ha influenzato quindi il profilo batterico? Nonostante alfa e beta diversità non abbiamo mostrato variazioni, sembrerebbe avere un impatto. Infatti:
- l’abbondanza di Proteobacteria, significativamente aumentata con CDI, ha invece registrato un andamento in diminuzione nel gruppo con supplemento seppur non significativo
- a livello di famiglia e genere, il gruppo con vitamina D ha mostrato un significativo decremento di Enterobacteriaceae e Escherichia rispetto ai controlli. Aumentata in maniera evidente anche l’abbondanza di Christensenellaceae, Bifidobacteriaceae Sutterellaceae, Lachnospiraceae e Ruminococcaceae
Conclusioni
Il supplemento di vitamina D in pazienti con infezione da C. difficile potrebbe quindi favorire la proliferazione di batteri utili per contrastare il patogeno e limitarne le recidive, suggerendo un uso di tale vitamina come coadiuvante la terapia antibiotica e/o trapianto di microbiota fecale. Ulteriori conferme con un maggior numero di pazienti sono tuttavia necessarie.