La variante genomica del patogeno Clostridium perfringens associata a una parziale alterazione del microbiota intestinale sembrerebbero rappresentare i fattori chiave nello sviluppo e nella diffusione di enterite necrotica nel pollame da allevamento.
Lo dimostra lo studio di Raymond Kiu e colleghi del Quadram Institute Bioscence (Norwich, UK), recentemente pubblicato su Animal Microbiome.
L’enterite necrotica colpisce frequentemente i polli da allevamento comportando ingenti perdite nella produzione. È un’infiammazione intestinale principalmente a carico del patogeno Clostridium perfringens caratterizzato da un’abbondante produzione di tossine e fattori pro-virulenti. Una volta colonizzato l’intestino, il cieco in particolare, C. perfringens causa importanti alterazioni, fino alla comparsa di lesioni e necrosi tissutali nonostante la presenza di un microbiota locale potenzialmente attivo nella protezione da patogeni. È stato quindi ipotizzato che la proliferazione di C. perfringens possa impattare sulla componente batterica pre-esistente permettendo il decorso della patologia.
Mentre le varianti e le caratteristiche genomiche del patogeno in questione sono note, le conoscenze sul rapporto con il microbiota locale sono ancora in fase iniziale. A tal proposito, i ricercatori hanno abbinato un’analisi filogenetica a una valutazione della componente batterica intestinale di polli sani e malati. Ecco cos’è emerso.
Dall’analisi di 88 isolati genomici di C. perfringens (62 da polli con enterite necrotica, 20 da sani e 6 ambientali), la variante Vf è risultata quella più virulenta. Nel dettaglio:
- i geni netB e tpeL hanno dimostrato di svolgere un ruolo importante in quanto codificano per tossine associate alla patologia e sono risultati presenti solo in genomi isolati da polli malati
- il genoma di polli malati è risultato arricchito anche dei geni pfoA e cpb2, anch’essi codificanti tossine
- ai geni “pro-tossine” si associano anche quelli coinvolti nella trascrizione di adesine (collagene ecc.) quali cna, cnaA e cnaD.
Profilo simile è stato inoltre rilevato in isolati genomici ambientali, suggerendo una possibile fonte di contaminazione altamente virulenta anche in assenza di esemplari malati.
Passando poi all’analisi della componente batterica condotta su un sottogruppo di 11 esemplari (3 malati, 3 sani, 5 sub-clinici) si è visto che:
- nonostante non sia emersa una netta differenza nel microbiota dei gruppi malati vs sani, lo status di malattia ha mostrato associazione positiva con un’aumentata espressione del genere Clostridium
- non è stata riscontrata nessuna differenza significativa in termini di diversità batterica
- tra i generi più abbondanti e potenzialmente correlati alla somministrazione preventiva di probiotici troviamo Bifidobacterium e Lactobacillus (L. reuteri, L. salivarius e L. vaginalis in particolare) seguiti da Blautia, Coprococcus, Dorea e Oscillospira, questi ultimi più abbondanti nel gruppo sano
- Enterococcus (E. faecium) ha mostrato una maggiore espressione negli esemplari malati e sub-clinici.
In conclusione, dunque, l’espressione di alcuni geni è risultata positivamente correlata alla virulenza di C. perfringens, alla variante Vf in particolare. L’alterata espressione di particolari generi batterici in presenza di malattia suggerisce inoltre un suo potenziale impatto sul microbiota locale. Ulteriori studi sono tuttavia necessari al fine di approfondire tali evidenze, oltre che per la messa a punto di interventi terapeutici e/o preventivi con probiotici mirati.