La produzione di metano da parte dei ruminanti è un processo fisiologico, tanto quanto inquinante. Manipolando opportunamente la dieta è possibile controllarne la produzione, oltre che favorire l’utilizzo di azoto; entrambi i fenomeni sono mediati dal microbioma del rumine e positivi anche per la resa di carni e latte. È quanto conclude la revisione coordinata da Chloe Matthews del Teagasc Food Research Centre irlandese, pubblicata su Gut Microbes.
La popolazione mondiale sta aumentando e con essa il fabbisogno di generi alimentari. Gli allevamenti stanno quindi intensificando la produzione, nonostante le molteplici problematiche, incluse quelle ambientali. Il metano prodotto naturalmente dalla digestione dei ruminanti è difatti una delle principali fonti di inquinamento.
Intervenire sulla loro alimentazione, manipolando di riflesso i microrganismi colonizzanti l’apparato digestivo di questi animali per mantenerne le capacità digestive, diminuendo per quanto possibile la produzione di metano, sembrerebbe essere la soluzione migliore. Con che risultati questo avvenga, in termini di funzionalità del rumine e dei suoi residenti, rimane da chiarire. Questo lavoro di revisione punta quindi a fare il punto della situazione sul legame tra dieta e microbioma bovino, focalizzandosi principalmente sulla componente più espressa, quella batterica. Di seguito gli aspetti più importanti.
Microbioma del rumine bovino e dieta
I microrganismi del rumine sono fondamentali per la digestione degli alimenti composti, nel caso dei bovini, essenzialmente da fibre di cellulosa. Questo processo fisiologico apparentemente semplice richiede però la cooperazione di molti attori (batteri, archea, protozoi, funghi), ognuno con caratteristiche ed esigenze peculiari (pH, ossigeno, substrati enzimatici ecc.), ma che interagiscono a più livelli e tra vari compartimenti.
La fase liquida all’interno del rumine ne contiene infatti circa il 25%, quella solida il 70%, mentre la restante parte è a livello epiteliale.
Puntando l’attenzione sulla componente predominante del rumine, ovvero i batteri, ne sono stati identificati più di 200 specie diverse, per un totale di 1010-11cellule/ml. Solo il 20% risulta però adatto a essere messo in coltura, e quindi analizzabile con le consuete tecniche di laboratorio. La composizione poi è tutt’altro che fissa. Sono molti infatti i fattori che influiscono, dieta in primis. Ecco qualche esempio.
La capacità di degradare la cellulosa dipende dal tipo di foraggio, dalla maturità del raccolto nel caso dei cereali e dalla presenza di determinati batteri cellulosolitici. Tra questi, Fibrobacter succinogenes e Ruminoccoccus albus sono i più efficienti in quanto esprimono più geni per la codifica di enzimi coinvolti in questo metabolismo.
In generale, batteri Gram negativi sono presenti soprattutto in animali alimentati principalmente a foraggio, quelli positivi come Lactobacillus con diete a base di cereali.
L’amido è un altro nutriente importante nella dieta dei ruminanti, nelle mucche da riproduzione in particolare. Raggiunge valori elevati con diete ad alto apporto di cereali ed è direttamente correlato all’espressione del ceppo amilolitico Streptococcus bovis. Aumentati livelli di glucosio e pH acido nel rumine sono le caratteristiche che di norma lo accompagnano e si associa, di contro, alla diminuzione dei protozoi non adatti a condizioni acide.
Lachnospira multiparus, Prevotella ruminicola e Butyrivibrio fibrisolvens sono invece tra i batteri più abili nel degradare la pectina producendo acetato e acidi grassi volatili importanti nel metabolismo dell’ospite.
Infine, la resa del latte è associata positivamente alla presenza di Firmicutes, negativamente a quella di Bacteroidetes.
Efficienza di conversione dei nutrienti e microbioma
Con “efficienza di conversione dei nutrienti” si intende il kg di latte dalla composizione standardizzata rispetto alla concentrazione di proteine e grassi prodotto per kg di materia secca consumata (foraggio, cereali ecc.). Anche in questo caso sono molti i fattori a entrare in gioco, la quantità e la qualità del cibo ad esempio. Analisi di meta-trascrittomica hanno però sottolineato il coinvolgimento anche del microbiota.
Gruppi con alta efficienza di conversione (e quindi ridotto residuo di cambio) presentano un diverso rapporto di batteri, Lachnospiraceae in particolare, e archea rispetto ad altri con bassa efficienza. Nel primo caso, inoltre, si è registrato un aumento del metabolismo di butirrato e propionato e una riduzione di produzione di metano. Viceversa, di recente proposta è l’introduzione nel piano alimentare dei ruminanti di composti anti-metanogenici, cloroformio ad esempio, che, partendo dalle fibre, incrementano l’espulsione di idrogeno diminuendo quella di metano. In tutto ciò, il microbiota sembrerebbe adattarsi senza perdere l’efficienza digestiva.
Tra gli approcci di riduzione del metano più promettenti, seppur in fase preliminare, troviamo inoltre l’utilizzo di probiotici, Bacillus licheniformis ad esempio.
Anche ridurre la perdita di azoto durante la digestione è fondamentale per la produzione casearia, oltre che per l’ambiente (ossido di azoto). Equilibrare l’apporto di proteine con l’energia necessaria alla digestione sembrerebbe essere tra le strategie vincenti per incrementare l’efficienza di utilizzo dell’azoto da parte dei ruminanti.
In conclusione, dunque, il microbioma del rumine:
- è un ecosistema complesso composto da vari tipi di microorganismi (batteri, archea, protozoi, funghi) che interagiscono tra loro
- è analizzabile con le colture in vitro standardsolo al 20%. Le nuove tecniche di sequenziamento genico, tecniche omiche, strumenti di bioinformatica ecc. sono perciò fondamentali per un panorama completo
- è implicato nella regolazione di vari parametri fisiologici dell’ospite, tra i quali la resa del latte, la capacità digestiva di nutrienti come amido o pectina, la produzione di metano.