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Ipertensione arteriosa: troppo sale da cucina altera il microbiota intestinale

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Ipertensione arteriosa: troppo sale da cucina altera il microbiota intestinale

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Un elevato apporto di sale, oltre ad incrementare il rischio di ipertensione e patologie cardiovascolari, da un lato promuove una maggiore “aggressività” della risposta immunitaria mediata dai linfociti T, dall’altro determina la riduzione di particolari specie batteriche commensali utili nella regolazione degli stessi linfociti.

È quanto emerge da uno studio condotto da un gruppo di ricercatori tedeschi e pubblicato sulla rivista Nature.

La dieta occidentale comporta generalmente un elevato introito di sale e, nonostante le più importanti linee guida ne raccomandino un uso moderato, sono ancora poco chiari quali siano tutti i processi e le relative conseguenze che questo ingrediente così diffuso è in grado di influenzare, soprattutto a livello intestinale.

Recenti studi hanno dimostrato come anche l’over-espressione delle cellule immunitarie Th17 sia correlata a un alto contenuto di sale determinando a sua volta un aggravamento di stati infiammatori pre-esistenti o di patologie autoimmuni come l’encefalomielite o la sclerosi multipla. Ed è stata anche osservata, in più occasioni, una correlazione tra i linfociti T e l’insorgenza di ipertensione arteriosa.

Attraverso questo studio, Nicola Wilck e colleghi dei Max-Delbrück Center for Molecular Medicine e del Charité-Universitätsmedizin Berlin, a Berlino, hanno voluto approfondire, prima su modelli murini e poi sull’uomo, se e in che misura il sale influisca nella composizione e biodiversità del microbioma intestinale, nella risposta del sistema immunitario e nella regolazione della pressione arteriosa.

Nella prima fase della ricerca, i modelli murini sono stati nutriti rispettivamente con dieta ad alto contenuto di sale, o HSD (n=12), e con dieta normale, NSD (n=8) per 14 giorni al termine dei quali sono stati raccolti campioni fecali e analizzati con varie tecniche tra le quali il sequenziamento 16S rDNA, la qPCR, la classificazione OTUs, l’indice di Shannon e la citometria a flusso.

La seconda parte dello studio ha invece coinvolto 12 volontari maschi in buona salute ai quali sono stati somministrati 6 grammi di sale al giorno per 14 giorni.

È stata dunque monitorata la pressione arteriosa durante il riposo notturno per evitare possibili fattori di confondimento legati alle differenti attività quotidiane.

Per determinare se anche in questo caso l’attività delle cellule Th17 fosse alterata in risposta all’aumento di sale, sono stati collezionati campioni fecali che hanno permesso, da ultimo, anche di indagare le eventuali alterazioni di espressione batterica.

Le tecniche di analisi utilizzate sono comparabili a quelle descritte precedentemente.

Un alto consumo di sale riduce i Lactobacillus nel modello murino

Nonostante non siano state riscontrate differenze significative in termini di composizione e biodiversità tra i due gruppi (HSD vs NSD), numerosi OTUs hanno registrato una pesante riduzione in seguito alla dieta HSD.

Il maggior decremento è stato osservato relativamente al genere Lactobacillus, ma anche per le specie appartenenti ai generi Oscillibacter, Pseudoflavonifractor, Clostridium XIVa, Johnsonella e Rothia mentre altre, come ad esempio Parasutterella spp., sono di fatto aumentate.

Interessante notare come i Lactobacillus, dopo un’iniziale e rapida diminuzione di espressione in risposta al regime HSD, siano ritornati entro i livelli standard non appena è stata reintrodotta la dieta normale confermando perciò l’azione modulatrice del sale nei confronti del microbiota.

Dato che l’OTU Lactobacillus ha dimostrato la migliore responsività è stato isolato e identificato a livello di specie in Lactobacillus murinus.

Dopo aver confermato che anche Lactobacillus murinus risponde in maniera analoga al genere Lactobacillus originario, è stato messo in coltura assieme ad altre specie di Lactobacillus caratteristiche del microbiota umano, privo di L. murinus, per verificarne il globale andamento di crescita in condizioni di elevata salinità.

Ciò che si è potuto osservare è che non tutti i batteri rispondono allo stesso modo alla medesimo stress. Mentre L. murinus e la maggior parte dei ceppi umani hanno riportato un arresto nella proliferazione, Akkermansia munichiphila ha invece mostrato un incremento e, allo stesso tempo, Escherichia coli una buona tolleranza. Risultati analoghi sono stati ottenuti anche riproducendo l’esperimento in vivo.

Considerando poi come Lactobacillus sia attivamente coinvolto nella metabolizzazione del triptofano, precursore di numerosi neuromodulatori fra i quali la serotonina, i ricercatori hanno supposto e successivamente confermato una riduzione a livello fecale dei relativi metaboliti (ILA, IAA, IAId) nei topi in dieta HSD.

Al contrario, modelli germ-free, cioè privati del loro corredo batterico originale, successivamente ricolonizzati con L. murinus ne hanno invece dimostrato alta concentrazione confermando il ruolo di questa specie batterica nella via metabolica in esame.

Lactobacillus murinus migliora la risposta immunitaria e riduce l’ipertensione arteriosa

Per approfondire l’eventuale implicazione di Lactobacillus murinus nel regolare la risposta immunitaria e infiammatoria, sono stati analizzati modelli murini esprimenti encefalomielite e, anche in questo caso, alimentati con i due diversi regimi alimentari.

A un sottogruppo di quelli a cui è stato incrementato il sale è stata abbinata la somministrazione di L. murinus.

I topi appartenenti al gruppo HSD senza supplemento hanno dimostrato chiaramente un peggioramento nel decorso della patologia, elevati livelli di Th17 e una marcata riduzione di ILA fecali.  Livelli inferiori di Th17 sono stati invece evidenziati nel sottogruppo che ha assunto il probiotico.

Sempre più evidenze dimostrano come i Th17, oltre a giocare un ruolo fondamentale nel sistema immunitario, siano anche associabili allo sviluppo di ipertensione arteriosa.

Recenti meta-analisi sottolineano come un supplemento preventivo di Lactobacillus possa aiutare in caso di soggetti ipertesi.

Basandosi su queste fonti, i ricercatori hanno testato l’efficacia di un trattamento a base di Lactobacillus murinus nel ridurre l’ipertensione sale-sensibile.

Mentre una sola dieta HSD ha comportato un marcato incremento pressorio, un concomitante supplemento di L. murinus nel gruppo di confronto ha ne ha registrato un’apprezzabile diminuzione, andamento confermato anche con la somministrazione di L. reuteri.

Anche il numero di Th17 circolanti è risultato in calo in seguito all’introduzione del probiotico.

Ipertensione e sale: i risultati sui volontari

Dai confronti dei valori pressori dei volontari tra quelli registrati alla baseline e quelli durante il periodo di osservazione è emerso come siano significativamente e complessivamente aumentati.

Andamento analogo lo si è visto anche per mediatori immunomodulanti quali CD4+, IL-17A+, TNF+ e Th17.

Inoltre, a supporto dei test in vivo anche in questo caso si è verificata la riduzione dei Lactobacillus, pur tenendo presente le differenze di specie tra uomo e topo.

Da ultimo, oltre a un loro decremento numerico, il maggior introito salino ha comportato anche una diminuzione del loro tempo medio di sopravvivenza.

In conclusione possiamo dunque affermare come un elevato consumo di sale, oltre ad avere un impatto sull’ipertensione come più volte dimostrato, determini anche un’alterazione nell’espressione di determinate specie batteriche, L. murinus in particolare, e nella regolazione del sistema immunitario comportandone una maggiore “aggressività”. Supplementi a base di probiotici quali Lactobacillus, data la loro dimostrata efficacia nel ridurre la risposta Th17 mediata, potrebbero essere utili nel supportare il nostro microbioma intestinale contrastando le azioni disregolatorie e le relative conseguenze che comporta un’alimentazione ricca in cloruro di sodio.

Silvia Radrezza
Laureata in Farmacia presso l’Univ. degli Studi di Ferrara, consegue un Master di 1° livello in Ricerca Clinica all’ Univ. degli Studi di Milano. Borsista all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS dal 2017 al 2018, è ora post-doc presso Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics a Dresda (Germania).

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