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Bacteroides thetaiotaomicron: il compagno ideale per una cena pesante

Bacteroides thetaiotaomicron è il nuovo protagonista della rubrica “Le interviste impossibili di Microbioma.it”, una serie di dialoghi con batteri, probiotici, prebiotici & Co.
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Bacteroides thetaiotaomicron: il compagno ideale per una cena pesante

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Con il gran parlare che se ne è fatto, i vantaggi in termini di salute di una dieta ricca di fibre dovrebbero ormai essere noti a tutti. A mediare questi effetti benefici è il microbiota intestinale, che converte le fibre alimentari in metaboliti dotati di specifiche funzioni fisiologiche. 

Tra i fattori chiave che mettono il nostro organismo nelle condizioni di utilizzare questi carboidrati complessi, che per noi sarebbero altrimenti impossibili da digerire, c’è il bacillo Bacteroides thetaiotaomicron, residente abituale dell’intestino distale che utilizza i carboidrati come fonte di carbonio ed energia e rappresenta il 6% dei batteri presenti nell’econicchia locale e il 12% di tutti i Bacteroides. 

Si tratta a tutti gli effetti di un microrganismo commensale, che va cioè inteso come tale nel senso microbiologico del termine, ma che va anche considerato un aiuto indispensabile a tavola – un prezioso commensale appunto – proprio per la sua capacità di metabolizzare un’ampia varietà di polisaccaridi tramite un’infinità di loci specifici. 

Ma il B. thetaiotaomicron è stato anche al centro di studi che per molti aspetti hanno rivoluzionato l’approccio al microbiota. Ecco come risponde alle nostre domande.

Partiamo dal suo nome, che francamente suona un po’ come l’esercizio di memoria di un ginnasiale alle prime esperienze di greco…

«All’origine c’è una questione – probabilmente fraintesa – di morfologia. Data la mia struttura cilindrica direi che appartengo ai bacilli, ma come molti altri batteri posso modificare le mie caratteristiche morfologiche per adattarmi a differenti condizioni ambientali. È appunto assumendo forme che ricordavano le lettere teta, iota e omicron dell’alfabeto greco che nel 1912 mi sono presentato al microscopio di Arcangelo Distaso, che per questo mi ha descritto come Bacillus thetaiotaomicron (1). Soltanto nel 1919 sono stato attribuito al genere Bacteroides. Per brevità, anche su alcuni documenti ufficiali vengo comunque chiamato amichevolmente B. theta».

Abbreviato o meno, in letteratura il suo nome ricorre in studi che hanno rivoluzionato l’approccio al microbiota…

«Immagino che abbia letto gli studi condotti da Abigail Salyers e dal suo team nei laboratori dell’Università dell’Illinois a Urbana-Champaign. In una serie di lavori pubblicati sul “Journal of Bacteriology” alla fine degli anni Ottanta (2), lei e si suoi colleghi, ricorrendo a un approccio biochimico e soprattutto genetico innovativo, hanno individuato i meccanismi che mi consentono di utilizzare i polisaccaridi tramite una serie di proteine ed enzimi. Partendo da questi risultati, nell’intera specie Bacteroides è stata poi accertata l’esistenza di innumerevoli loci, ognuno dei quali è specializzato nella degradazione di glicani specifici. Da parte mia, è proprio così che metto l’organismo ospite nelle migliori condizioni di digerire le fibre ed è in questo modo che sono diventato uno dei microrganismi intestinali maggiormente studiati del microbiota, grazie a manipolazioni genetiche che hanno fatto scuola nell’ambito degli studi in questo campo (3, 4). Di questo sono ovviamente riconoscente ad Abigail Salyers, ma devo anche aggiungere che è anche grazie al lavoro che ha condotto su di me che la microbiologa americana viene oggi considerata una pioniera innovativa in questo campo».

Ma come fa a metabolizzare composti proverbialmente complessi come i polisaccaridi?

«Si tratta di un insieme di doti naturali e di convinta applicazione. Per digerire i vegetali, ricchi di carboidrati complessi come cellulosa, emicellulosa, lignina e amidi, è necessario disporre di un armamentario ampio e multifunzionale di enzimi: io ne ho più di 250 solo per questa mansione. Il paragone non sembri irriverente, ma l’uomo ne ha meno di 100, nonostante un genoma 500 volte più grande. Ma queste doti da sé non sono sufficienti: ci vuole anche molta dedizione e dagli approfondimenti che sono stati condotti sulla mia attività risulta evidente che dedico enormi porzioni del mio genoma al metabolismo dei carboidrati (5): un bel riconoscimento per il mio lavoro».

Per quanto si tratti di un’azione preziosa, non è la sola, non sia modesto…

«È vero, intervengo anche sulla risposta infiammatoria, a livello immunitario e nella regolazione di alcune funzioni neurologiche. Ma non mi limito a svolgere questi compiti: mi piace semmai pensare di svolgere, a livello intestinale, quelle che credo si possano definire responsabilità manageriali. Sono infatti in grado di attivare i geni dell’ospite coinvolti nell’assorbimento di sostanze nutritive, nell’allestimento di una barriera intestinale impermeabile, nell’eliminazione delle tossine e nella creazione di vasi sanguigni e cellule mature (6). Tramite questi compiti, in pratica, ho una funzione che si può definire gestionale, che mette l’ospite nelle condizioni di disporre di un intestino sano. Peraltro, in particolari circostanze posso agire anche come patogeno opportunista, originando infezioni post-operatorie e batteriemia soprattutto negli individui immunodepressi».

Un manager che in futuro potrebbe diventare un microrganismo biotech per svolgere altre funzioni?

«Sì, ne sono consapevole, ma credo che per il momento l’ipotesi di venir arricchito di circuiti genetici artificiali tramite le tecniche di biologia sintetica comporti ancora troppi rischi anche di carattere ambientale e non mi entusiasma particolarmente. Credo invece valga la pena di rafforzare un concetto che resta ancora troppo sfumato nell’opinione pubblica: perché si possa davvero parlare di una mutua collaborazione che sia sempre proficua con i batteri che popolano l’intestino, l’ospite deve sempre fare la sua parte. Per essere chiari, per non sprecare il mio contributo nel metabolismo dei vegetali alimentari bisogna fare grande attenzione all’alimentazione, evitando gli eccessi di zuccheri, il cibo spazzatura e gli alimenti ultraprocessati o quelli che contengono troppi additivi. In caso contrario, l’ipotesi di rompere l’equilibrio del microbiota è quasi una certezza, con tutto ciò che la disbiosi può comportare in termini di salute. E se questo messaggio viene dal più studiato tra i batteri dell’ecosistema intestinale, credo che abbia un certo valore».

Reference

  1. Distaso A. Contribution à l’étude sur l’intoxication intestinale. Zentralbl Bakteriol Parasitenkd Infektionskr Hyg Abt I, 1912
  2. Anderson KL, Salyers AA. 1989. Genetic evidence that outer membrane binding of starch is required for starch utilization by Bacteroides thetaiotaomicron. J Bacteriol 171:3199–3204
  3. Salyers AA, Bonheyo G, Shoemaker NB. Starting a new genetic system: lessons from bacteroides. Methods. 2000;20(1):35-46. doi:10.1006/meth.1999.0903
  4. Maier L. Pioneering microbiome engineering. Nat Rev Microbiol. 2023;21(10):630. doi:10.1038/s41579-023-00949-4
  5. O’Toole GA. Classic Spotlight: Bacteroides thetaiotaomicron, Starch Utilization, and the Birth of the Microbiome Era. J Bacteriol. 2016;198(20):2763. Published 2016 Sep 22. doi:10.1128/JB.00615-16
  6. Hooper LV, Wong MH, Thelin A, Hansson L, Falk PG, Gordon JI. Molecular analysis of commensal host-microbial relationships in the intestine. Science. 2001;291(5505):881-884. doi:10.1126/science.291.5505.881
Silvano Marini
Laureato in medicina e chirurgia, giornalista professionista. Ha lavorato con le principali testate giornalistiche italiane di aggiornamento per medici e farmacisti.

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