Microbioma, microbiota, eubiosi o disbiosi. Tutti termini che, oltre ad affascinare sempre più il mondo scientifico, stanno entrando via via nel nostro linguaggio comune, più o meno a dovere. Facciamo dunque il punto della situazione focalizzandoci in particolare sull’ultimo, la disbiosi.
Disbiosi: cosa significa?
È difficile darne una definizione esatta. Per di più si intende un’alterazione della struttura del microbioma locale sia a livello di composizione sia di funzionalità.
Sono molti infatti gli aspetti da considerare a partire da cosa significhi a sua volta “microbioma”. [1] Anche se spesso, a questa parola, si associa quasi esclusivamente alla popolazione di batteri, il microbioma è in realtà composto anche dai virus, protozoi, funghi e archea.
Qui ci concentreremo sulla componente batterica intestinale analizzando i principali fattori che ne causano alterazioni e le conseguenze in loco ma anche a livello sistemico (cutaneo e neurologico) data la connessione comprovata, non solo anatomica ma anche funzionale, con tutto il nostro corpo.
Tre tipologie di disbiosi intestinale
Parlando di disbiosi dobbiamo innanzitutto considerare che ne esistono di diversi tipi [1], generalmente determinate da:
- eccesso di patobioti: alcuni batteri potenzialmente patogeni che normalmente colonizzano il nostro corpo (patobionti per l’appunto) possono, in certe situazioni, proliferare causando disturbi o patologie vere e proprie. Un esempio può essere la famiglia batterica Enterobacteriaceae
- perdita di commensali: al contrario, una perdita più o meno importante dei batteri normalmente presenti può dare disbiosi a vari livelli. La diminuzione di L. reuteri è stata associata, per esempio, a disordini dello spettro autistico
- riduzione della diversità batterica: diete non corrette, AIDS, diabete ecc. sono solo alcune delle cause di riduzione di alpha-diversity e quindi di disbiosi
È importante tuttavia ricordare come la soglia di cambiamento oltre la quale si può parlare di disbiosi varia a seconda della specie in oggetto. Inoltre, non si è ancora arrivati a concordare quale sia il corredo batterico ideale sul quale poterci basare per classificarne uno alterato [2].
Disbiosi: cause e conseguenze
L’ecosistema batterico è a dir poco delicato. Sono perciò molte le variabili che possono incidere sul suo equilibrio, migliorandolo o creando danni.
Dieta, farmaci, infezioni o processi infiammatori, fattori genetici sono quelli principali. A questi se ne aggiungono di minori come temperatura, altitudine, alterazione del ritmo circadiano, dieta della madre in gravidanza [1,2].
Come le cause, anche i risvolti di una disbiosi possono essere molteplici, locali e non. Vediamone qualche esempio.
Conseguenze locali
Come ragionevole supporre, tra le conseguenze più frequenti di disbiosi intestinale prolungata troviamo le patologie in loco ossia le infiammazioni intestinali croniche (IBD) come morbo di Crohn o colite ulcerosa.
Numerosi sono gli studi che confermano una generale riduzione di ricchezza in condizioni di IBD oltre che una risposta immunitaria non appropriata. Ne abbiamo parlato in questo articolo.
Nei pazienti con morbo di Crohn ad esempio, si osserva una pesante riduzione di Firmicutes (F. prausnitzii soprattutto) controbilanciata da un aumento di Bacteroidetes. Benché un coinvolgimento del microbioma sia assodato, rimane tuttavia ancora da chiarire in che misura esso incida nel reale sviluppo di queste patologie e se la disbiosi sia da considerare fra le cause o le conseguenze [1,3]. Nell’articolo IBD Giano bifronte: la disbiosi è causa o conseguenza? si trovano alcune riflessioni su questo punto.
Conseguenze extra-intestinali
Nonostante l’alterazione sia intestinale, i suoi effetti si ripercuotono a vari livelli sfruttando connessioni anatomiche e funzionali del nostro organismo talvolta inaspettate.
Attraverso l’asse intestino-pelle infatti, uno squilibrio intestinale può dare esiti anche a livello cutaneo provocando ad esempio una dermatite atopica [4].
La dermatite atopica è patologia multifattoriale, che colpisce potenzialmente a tutte le età e caratterizzata da uno stato di infiammazione cronica. Sebbene la sua eziologia sia ancora incerta, tra i principali fattori coinvolti troviamo quelli genetici, immunitari, ambientali e disfunzioni epiteliali locali. A questi va ad aggiungersi appunto la disbiosi intestinale.
Per approfondire questo argomento si può leggere questo articolo.
Già dalla tenera età infatti, il microbioma intestinale contribuisce alla maturazione del sistema immunitario. Inoltre, una sua alterazione in termini di composizione e/o funzionalità si riflette sulla produzione non fisiologica di metaboliti determinando lo sviluppo di infiammazione.
A proposito di composizione, Propionibacteria, Streptococcus, Staphylococcus e Corynebacterium sono i ceppi normalmente presenti sulla nostra pelle.
Diversi studi clinici hanno invece dimostrato come pazienti con dermatite atopica presentino una ridotta biodiversità cutanea associata a maggiori livelli intestinali di Clostridia, Clostridium difficile, E. coli e S. aureus rispetto ai controlli sani, al contrario di Bifidobacteria, Bacteroidetes e Bacteroides che risultano invece diminuiti.
Altre evidenze suggeriscono inoltre il coinvolgimento di:
- Clostridia ed E. coli mediante eosinofili
- batteri intestinali producenti acidi grassi a corta catena (A. muciniphila ad esempio)
- ceppi coinvolti nel metabolismo del triptofano in quanto aumentano il senso di prurito cutaneo attraverso la segnalazione neuroendocrina, diminuito invece da quelli producenti GABA (Lactobacillus spp. e Bifidobacterium spp.)
- Escherichia spp. ed Enterococcus spp. data la loro capacità di produrre serotonina a sua volta implicata nella pigmentazione della pelle
- S. aureus, aumentato sia a livello intestinale sia cutaneo in stato attivo di malattia
Altre implicazioni della disbiosi intestinale sono a livello neurologico supportate dall’esistenza ormai sempre più accettata dell’asse intestino-cervello e dalla capacità di determinati ceppi di produrre neurotrasmettitori quali serotonina o GABA oltre che citochine sistemiche pro-infiammatorie.
In questa intervista Ted Dinan, psichiatra irlandese, spiega i meccanismi di questo fenomeno.
Sempre più studi dimostrano infatti un suo coinvolgimento in patologie neurologiche/psichiatriche come disordini dello spettro autistico o depressione ma anche neurodegenerative quali Parkinson’s, Alzheimer, sclerosi multipla ecc.
In pazienti malati di Parkinson’s (per saperne di più leggi questo articolo) ad esempio si registra un’aumentata espressione intestinale di Lactobacillus, Bifidobacterium, Verrucomicrobiaceae e Akkermansia e, di contro, una diminuzione di Faecalibacterium spp., Coprococcus spp., Blautia spp., Prevotella spp. and Prevotellaceae [5]. Membri della famiglia Enterobacteriaceae sono inoltre risultati positivamente correlati alla gravità della malattia in termini di disfunzione motoria oltre che con la presenza di processi infiammatori concomitanti [6].
Bambini colpiti da disordini dello spettro autistico mostrano invece un aumento di vari cluster di Clostridia. Interessante, a tal proposito, l’articolo Autismo: trapianto di microbiota potrebbe migliorare i sintomi.
Inoltre, studi sul neuro-sviluppo (condotti finora su modelli murini), tendono ad avanzare l’ipotesi di un possibile coinvolgimento anche del microbioma materno nell’aumento di rischio di sviluppo di disturbo neuropsichiatrici nel nascituro, evidenze tuttavia in attesa di ulteriori conferme [6].
Microbioma come nuovo target terapeutico
Visto i molteplici ruoli che il microbioma, intestinale e non, riveste sia in condizioni fisiologiche sia di patologia, la componente batterica rappresenta sempre più un target terapeutico sul quale poter intervenire in maniera mirata sfruttando ad esempio prodotti contenenti prebiotici o probiotici adatti. Inoltre, di più recente introduzione, è la pratica del trapianto di microbiota fecale che ha già dimostrato reale efficacia e sicurezza sull’uomo contro infezioni da C. difficile. Per quanto riguarda invece le altre patologie quali IBD, i risultati di questa pratica sono ancora in fase di consolidamento [3].
Referenze
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Maayan Levy, et al. Dysbiosis and the immune system Nature Reviews Immunology volume 17, pages 219–232 (2017) doi: 10.1038/nri.2017.7
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Weiss GA, Hennet T Mechanisms and consequences of intestinal dysbiosis Cell Mol Life Sci. 2017 Aug; 74 (16):2959-2977. doi: 10.1007/s00018-017-2509-x
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Rapozo DC et al. Diet and microbiota in inflammatory bowel disease: The gut in disharmony. World J Gastroenterol. 2017 Mar 28;23(12):2124-2140. doi: 10.3748/wjg.v23.i12.2124.
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So-Yeon Lee et al., Microbiome in the Gut-Skin Axis in Atopic Dermatitis Allergy Asthma Immunol Res. 2018 Jul; 10(4): 354–362. doi: 10.4168/aair.2018.10.4.354
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Gerhardt S, Mohajeri MH Changes of Colonic Bacterial Composition in Parkinson’s Disease and Other Neurodegenerative Diseases. Nutrients. 2018 Jun 1;10(6). pii: E708. doi: 10.3390/nu10060708.
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Stefano GB et al., Gut, Microbiome, and Brain Regulatory Axis: Relevance to Neurodegenerative and Psychiatric Disorders Cell Mol Neurobiol. 2018 Aug;38(6):1197-1206. doi: 10.1007/s10571-018-0589-2.