La quantità di fibre assunte con la dieta correla con la composizione del microbioma a livello esofageo. Questa la conclusione di uno studio, pubblicato su Clinical and Translational Gastroenterology, inteso a indagare la possibile influenza delle abitudini alimentari sul microbioma dell’esofago, a partire dai componenti alimentari risultati di maggior rilevanza per il microbioma del colon, ovvero fibre e grassi.
Fibre, grassi e microbioma esofageo
L’orizzonte di questa ricerca è, in caso di risultati confermati, esplorare la possibilità che, come appunto per il colon, regimi alimentari diversi abbiano un impatto differente sul rischio di malattia per le principali patologie dell’esofago, già associate da precedenti studi a una composizione alterata del microbioma in loco.
Tra queste patologie si annoverano, per esempio, l’esofagite eosinofila, il reflusso gastroesofageo e l’esofago di Barrett, oltre alle due principali forme tumorali che interessano questo comparto – ovvero l’adenocarcinoma esofageo e il carcinoma delle cellule squamose dell’esofago – della cui possibile connessione con il microbioma si è già parlato in precedenza.
I componenti alimentari su cui focalizzare la ricerca sono stati scelti in base ai risultati ottenuti in filoni di studi analoghi a livello del colon. Da una parte le fibre, il cui aumentato consumo ha mostrato nell’uomo correlazione con una riduzione del rischio di cancro colorettale, dall’altra i grassi che, consumati in proporzioni elevate, hanno portato in modelli animali a una chiara perturbazione dell’ecosistema microbico colonico con inversione del rapporto tra i due phyla principali, Bacteroidetes e Firmicutes.
Così la dieta modifica la popolazione batterica nell’esofago
Lo studio, di tipo trasversale, ha coinvolto 47 soggetti ai quali era stata prescritta un’endoscopia del tratto digestivo superiore, durante la quale sono stati raccolti i campioni di epitelio squamoso esofageo. A partire da tali campioni, tramite sequenziamento dell’rRNA 16S è stata in seguito determinata la composizione dell’ecosistema microbico locale.
I soggetti in studio sono stati sottoposti ad anamnesi alimentare tramite un questionario di frequenza (FFQ, Food Frequency Questionnaire), validato per la stima delle quantità di fibre e grassi ingeriti, in modo da studiare l’eventuale associazione tra i relativi livelli di assunzione e il pattern microbico a livello del tessuto esofageo.
L’analisi dei questionari ha rivelato per i partecipanti allo studio un comportamento alimentare in linea con la dieta statunitense generale.
In particolare, la percentuale media di calorie derivanti da grassi è risultata essere di poco inferiore al 34%, mentre per la quantità di fibre si è ottenuto un valore di 16 g al giorno, largamente inferiore rispetto ai 25 g raccomandati.
Ancor più interessante la distribuzione di tali valori: mentre per le fibre, infatti, si è registrata una buona variabilità tra quartili, per i grassi i valori sono risultati poco dispersi, con uno scarto interquartile di solo il 3% circa.
Proprio questa limitata difformità tra i quartili del consumo di grassi potrebbe essere alla base della mancanza di correlazione significativa tra livello di assunzione e abbondanza relativa dei vari phyla all’interno delle comunità microbiche esofagee analizzate. In questo senso, dichiarano gli autori, è possibile che l’effetto dell’intake lipidico sul microbioma esofageo risulti sottostimato nello studio.
Per quanto riguarda le fibre, invece, i dati hanno mostrato un’associazione tra livelli maggiori del loro consumo e proporzioni significativamente maggiori di Firmicutes (p=0,04) e inferiori di batteri Gram-negativi totali (p=0,03), insieme a valori tendenzialmente inferiori di Proteobacteria (p=0,10). Queste associazioni rimangono invariate anche dopo aggiustamenti statistici per diverse caratteristiche dei soggetti in studio, compreso reflusso gastroesofageo pregresso o in atto, utilizzo di farmaci e indice di massa corporea (BMI).
Interessante notare come questo ultimo parametro, il BMI, risulti indipendentemente associato alla proporzione di Firmicutes (p=0,03), Proteobacteria (p=0,05) e Gram-negativi totali (p=0,007) in senso opposto rispetto a quanto succeda con l’assunzione di fibre: valori maggiori di BMI correlano infatti con abbondanze relative inferiori del primo phylum e superiori del secondo e del terzo.
I possibili meccanismi
Il razionale dell’associazione tra abitudini alimentari e composizione del microbioma esofageo, a oggi definito, potrebbe avere carattere multifattoriale. Il fatto inoltre che il cibo passi in maniera del tutto transiente attraverso l’esofago alimenta l’ipotesi che tale associazione avvenga con modalità indirette, per esempio attraverso l’effetto:
- del microbioma di aree adiacenti come quello del cavo orale, che può risentire primariamente di elevati o ridotti livelli di assunzione di fibre e successivamente, per passaggio nel canale esofageo, influire sull’ecosistema microbico associato ai suoi tessuti.
- di sovrappeso e obesità, per le quali un basso introito di fibre può costituire un fattore di rischio. Come riportato sopra, infatti, valori maggiori di BMI presentano un’associazione con le abbondanze relative di Firmicutes e Gram-negativi totali inversa a quella rilevata per un elevato consumo di fibre.
- di reflusso gastroesofageo – pregresso o presente – per il quale ancora sovrappeso e obesità rappresentano un fattore di rischio.
Quali sono le implicazioni cliniche?
Studi precedenti sul microbioma dell’esofago distale hanno rilevato la presenza di due tipologie principali: la prima, con predominanza di batteri del genere Streptococcus (phylum Firmicutes), associata a un esofago sano, fenotipicamente normale, mentre la seconda, con abbondanza di anaerobi Gram-negativi, associata a condizioni come reflusso, esofagite ed esofago di Barrett.
Nel presente studio, l’assunzione di fibre è risultata associata positivamente proprio all’abbondanza relativa di Firmicuti, e negativamente invece a quella di batteri Gram-negativi – Betaproteobacteria in particolare.
Su tale associazione inversa poggia quindi un possibile meccanismo di come un’assunzione adeguata di fibre possa avere un effetto protettivo nei confronti dell’insorgenza di malattie esofagee mediate da stati infiammatori.
Antonella Losa