Gli inibitori di pompa protonica o PPI, classe di farmaci tra le più usate nel trattamento di patologie e disturbi legati al reflusso gastroesofageo e/o all’eccesso di produzione di acidi gastrici, alterano il microbiota orale, oltre che quello intestinale.
Queste sono le conclusioni di un team di ricercatori giapponesi della Shimane University che ha realizzato uno studio recentemente pubblicato in Journal of Gastroenterology and Hepatology e condotto su 10 volontari sani ai quali sono stati somministrati farmaci PPI per 4 settimane.
Tsuyoshi Mishiro e colleghi hanno infatti testato per la prima volta l’influenza dei farmaci anti reflusso gastroesofageo sul microbiota orale.
Un numero sempre crescente di evidenze dimostrano come anche il microbioma orale sia coinvolto in una vasta serie di patologie tra le quali, ad esempio, diabete mellito o polmonite batterica. La bocca, con la sua struttura anatomica complessa e compartimentata, è caratterizzata da diversi microambienti e dai relativi microbiomi. Denti, gengive e lingua, oltre che la saliva, hanno infatti una peculiare composizione batterica.
Nonostante le prescrizioni di PPI continuino ad aumentare e il loro profilo di rischio-beneficio sia considerato generalmente favorevole, negli ultimi anni si stanno registrando un certo numero di eventi collaterali più o meno gravi che vanno a coinvolgere anche il microbioma orale.
In seguito al trattamento del reflusso gastroesofageo con questi farmaci infatti si è registrato un aumento del pH salivare che potrebbe riflettersi su uno squilibrio dell’omeostasi batterica. A livello intestinale inoltre si è osservato un aumento di infezioni da Clostridium difficile, frequenti conseguenze della somministrazioni di antibiotici orali. Questo fa supporre quindi un loro coinvolgimento anche nell’alterazione del microbiota intestinale in linea con gli stessi antibiotici.
Sulla base di studi precedenti sono stati quindi collezionati campioni fecali, di saliva e del liquido gengivale al momento dell’arruolamento e dopo 4 settimane di trattamento con PPI.
I soggetti partecipanti allo studio non hanno dimostrato alcuna patologia o sintomo gastrointestinale pregresso e, inoltre, non dichiaravano trattamenti con antibiotici e/o supplementi di probiotici entro tre mesi dall’inizio dello studio.
Dai campioni è stato dunque estratto il DNA e sequenziato tramite 16S rRNA. Per un’analisi più completa, il materiale raccolto è stato inoltre caratterizzato attraverso diverse tecniche tra cui OTUs, PCR, PCoA, indice di diversità di Shannon e le analisi di distanza Unifrac e Bray-Curtis.
Cosa cambia nel microbioma orale dopo il trattamento del reflusso gastroesofageo
Cosa è emerso dal confronto dei campioni raccolti al baseline vs quelli raccolti al termine del periodo di osservazione?
L’indice di Shannon e la PCoA riportano una differenza significativa in termini di biodiversità nel microbiota salivare, la quale risulta ridotta dopo la somministrazione di IPP, anche se non evidenziata in modo così marcato dalla classificazione OTUs.
Sebbene a livello di taxa e phylum non siano state dimostrate alterazioni importanti, a livello di genere è stata delineata in modo più chiaro la variazione di composizione. Streptococcus infatti è aumentato sia nel microbioma salivare che in quello gengivale nonostante l’incremento maggiore lo si sia registrato nei campioni fecali con una crescita di oltre quattro volte rispetto alla sua concentrazione nel pre-trattamento.
Nel microbioma salivare, oltre al genere Streptococcus, più espresso a 4 settimane è risultato anche Fusobacterium e, nel fluido gengivale, Leptotrichia mentre, al contrario, Nesseira, Veillonella e Haemophilus hanno registrato un decremento in maniera più o meno significativa.
Per quanto riguarda il microbiota intestinale invece, ad eccezione di Streptococcus, è rimasto inaspettatamente invariato.
Questi dati preliminari sembrerebbero dunque dimostrare una correlazione tra PPI e microbiota orale, nonostante i meccanismi che stanno alla base della loro interazione siano ancora poco chiari.
Ulteriori studi sono quindi necessari, possibilmente su un campione più ampio di soggetti, ai fini di determinare l’effettiva implicazione di farmaci così ampiamente utilizzati per disturbi gastro-intestinali nell’omeostasi del microbioma orale in modo da poter prevenire anche ulteriori patologie legate a una sua alterazione.
Silvia Radrezza