Le malattie infiammatorie intestinali (IBD), un gruppo di disturbi intestinali che causano un’infiammazione prolungata del tratto digestivo, sono state associate a cambiamenti nella composizione del microbiota intestinale. In un recente studio alcuni ricercatori hanno identificato una classe di metaboliti in grado di modificare la composizione del microbiota intestinale, rendendola simile a quella presente in caso di IBD.
I risultati, pubblicati su Nature Microbiology, potrebbero facilitare lo sviluppo di terapie che abbiano come target specifiche classi di metaboliti, allo scopo di prevenire cambiamenti sfavorevoli nella composizione del microbiota intestinale.
«Le malattie infiammatorie intestinali, tra cui la colite ulcerosa e la malattia di Crohn, sono condizioni caratterizzate da infiammazione cronica gastrointestinale causata da predisposizione genetica e da interazioni anomale tra i microrganismi intestinali e il sistema immunitario dell’ospite», affermano gli autori dello studio. Sebbene i livelli di alcuni metaboliti umani e microbici nel tratto digestivo siano stati collegati all’IBD, non è chiaro come specifici metaboliti influenzino i batteri intestinali.
Nadine Fornelos del Broad Institute of MIT and Harvard e i suoi colleghi hanno quindi valutato l’influenza dei metaboliti intestinali abbondanti nei pazienti con IBD sulla crescita dei batteri intestinali associati alla malattia.
N-aciletanolamine e IBD
I ricercatori hanno scoperto che una classe di lipidi di segnalazione, chiamati N-aciletanolamine, è risultata arricchita nelle feci di pazienti con IBD e in un modello murino di infiammazione cronica del rivestimento interno del colon.
Le N-aciletanolamine sono prodotte dall’ospite e sono coinvolte in diversi processi biologici, tra cui l’infiammazione e la funzione di barriera intestinale.
È stato osservato che, in laboratorio, le N-aciletanolamine inibiscono la crescita di Bacteroides cellulosilyticus e aumentano quella di Escherichia coli, Ruminococcus gnavus e Blauta producta. I livelli di tutti questi batteri sono noti per essere alterati nei pazienti con IBD. Secondo i ricercatori, le N-aciletanolamine favoriscono o, al contrario, inibiscono la crescita di specie che, in caso di IBD, risultano rispettivamente aumentate o diminuite.
Lipidi che modificano il microbiota intestinale
Il team di ricercatori ha inoltre scoperto che, in esperimenti condotti in laboratorio, le N-aciletanolamine possono modificare la composizione fisiologica del microbiota intestinale, rendendola simile a quella tipica dei pazienti con IBD, con aumento di Proteobacteria e riduzione di Bacteroidetes.
Per esempio, microbi come B. producta, Clostridium clostridioforme e Klebsiella pneumoniae, che sono sovrarappresentati nei pazienti con IBD, risultano aumentati in presenza di N-aciletanolamine.
«Forse la risposta più evidente al trattamento con N-aciletanolamine è stato l’aumento di Enterobacteriaceae, un segno distintivo di IBD», affermano i ricercatori. Le enterobatteriacee possono innescare la produzione di LPS, una molecola che attiva la risposta infiammatoria e ha un ruolo importante nello sviluppo dell’IBD.
Conclusioni
Inoltre, alti livelli di specifiche N-aciletanolamine aumentano anche la permeabilità intestinale, che notoriamente contribuisce all’infiammazione.
Sebbene non sia noto come le N-aciletanolamine modifichino la composizione del microbiota intestinale, i risultati suggeriscono che queste molecole potrebbero essere utilizzate come biomarcatori per diagnosticare l’IBD.
Traduzione dall’inglese a cura della redazione