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Steatosi epatica: un metabolita batterico tra le possibili cause

Il metabolita batterico TMAVA potrebbe essere un biomarcatore di NAFLD, utile a fini preventivi o terapeutici. Lo dice uno studio su Gastroenterology.
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Steatosi epatica: un metabolita batterico tra le possibili cause

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In questo articolo

Stato dell’arte
L’accumulo di trigliceridi a livello epatico è uno dei fattori predisponenti per la steatosi epatica non alcolica. Dato il suo ruolo nel metabolismo, importanti informazioni sui meccanismi che ne stanno alla base potrebbero venire dal microbioma intestinale.

Cosa aggiunge questo studio
Scopo dello studio è stato identificare differenze nei metaboliti a livello del tessuto epatico tra soggetti con steatosi epatica e controlli, oltre che indagare i meccanismi attraverso i quali questi metaboliti contribuiscono allo sviluppo di fegato grasso in vivo.

Conclusioni
I livelli plasmatici del metabolita batterico TMAVA sono risultati aumentati nei pazienti con steatosi epatica. I ceppi implicati nel suo metabolismo sono stati individuati in vivo e ne è stata dimostrata la capacità di ridurre la sintesi di carnitina e l’ossidazione di acidi grassi, promuovendo così la steatosi.


Microbioma intestinale e steatosi epatica non alcolica sono tra loro collegati. E l’anello di congiunzione potrebbe essere il metabolita batterico N,N,N-trimethyl-5-aminovaleric acid (TMAVA), che risulta aumentato nei pazienti con steatosi epatica e implicato in questa patologia a causa della sua capacità di sostenere la lipolisi e l’inibizione dell’ossidazione di acidi grassi, diminuendo la disponibilità di carnitina.

Il TMAVA potrebbe perciò rappresentare un marcatore prognostico rilevante nella pratica clinica, grazie anche alla possibilità di modulare i ceppi implicati nella sua sintesi a fini preventivi e/o terapeutici.

È quanto dimostra lo studio condotto da Mingming Zhao e colleghi della Peking University (Beijing, Cina) di recente pubblicazione su Gastroenterology.

Steatosi epatica non alcolica

La patologia da fegato grasso non alcolica (NAFLD) è la patologia epatica cronica più diffusa, interessando il 20-30% della popolazione occidentale. Deriva da una più semplice forma di steatosi ed è caratterizzata dall’accumulo di trigliceridi (per incremento della lipolisi periferica e di acidi grassi liberi) e dal decremento dell’ossidazione mitocondriale degli acidi grassi (FAO).

Indagare il profilo metabolico dei soggetti affetti da NAFLD potrebbe fornire un valido supporto per approfondire i meccanismi di questa patologia, individuando per esempio utili biomarcatori.

È quello che ha fatto un gruppo di ricercatori, collezionando campioni plasmatici di soggetti con e senza NAFLD, per poi analizzare modelli murini alimentati per due mesi con dieta ad alto contenuto di grassi, per i quali sono stati analizzati plasma, tessuto epatico e microbiota fecale. Di seguito i principali risultati, ottenuti dalla fase clinica e pre-clinica.

Alla ricerca di biomarker per la steatosi epatica

Confrontando il plasma di 15 soggetti con e senza NAFLD, allo scopo di individuare eventuali marcatori di aumento del rischio patologico, si è visto come nei primi i livelli di TMAVA fossero significativamente superiori rispetto al gruppo di controllo.

Ampliando poi la dimensione campionaria, la ricerca dei biomarcatori è continuata su due coorti indipendenti di soggetti, 1.157 con o senza diabete e 766 soggetti con o senza steatosi epatica. Ancora una volta, i livelli di TMAVA sono risultati più elevati nei soggetti con disturbi epatici (odd ratio=1,82), suggerendo un possibile ruolo di questo metabolita come marcatore prognostico.

Dal momento che la struttura chimica di TMAVA è simile a quella di γ-butyrobetaine (γ-BB), un altro metabolita prodotto dalla flora batterica intestinale, i ricercatori cinesi hanno deciso di indagare anche il suo metabolismo.

Modelli murini trattati con antibiotici hanno infatti dimostrato un significativo decremento dei livelli plasmatici di TMAVA se comparati a modelli con microbiota fisiologico, supportando un coinvolgimento batterico nella sua sintesi.

Alla base della sua formazione sembrerebbe esserci l’aminoacido trimetilisina (TML, che risulta anch’esso aumentato nei pazienti patologici) e, tra i ceppi direttamente coinvolti, Enterococcus faecalis e Pseudomonas aeruginosa.

TMAVA, microbiota intestinale e carnitina

Con lo scopo di approfondire i meccanismi che stanno alla base dell’associazione tra TMAVA e NAFDL, i ricercatori hanno alimentato i modelli murini con dieta ad alto contenuto di grassi con e senza TMAVA (0,325 % p/v) per 8 settimane, registrando al termine un incremento di TMAVA pari a 10 volte nel plasma e in vari tessuti.

Si è visto inoltre che, rispetto ai controlli, i modelli con TMAVA presentano:

  • peso e dimensioni del fegato maggiori
  • livelli plasmatici superiori di aspartato aminotransferasi (AST), marcatore di danno epatico
  • il 20% in più di trigliceridi.

Per verificare l’effettivo contributo del TMAVA, questo metabolita è stato dunque somministrato in assenza di antibiotici alla stessa concentrazione, dimostrando alterazioni metaboliche analoghe.

È stato dunque verificato l’impatto di TMAVA sulla componente batterica, registrando alterazioni a livello di genere e phylum, con aumento della conversione energetica e del trasporto e metabolismo di carboidrati. Ridotto invece quello dei lipidi.

Questi risultati possono essere spiegati dalla parallela riduzione di carnitina, metabolita implicato nell’ossidazione degli acidi grassi.

Considerando poi come l’accumulo lipidico sia fisiologicamente coinvolto nella termoregolazione, i ricercatori hanno confrontato la risposta al freddo (permanenza a 4° C per 6 ore/die) dei modelli trattati o meno con TMAVA, dimostrando che:

  • la temperatura corporea del gruppo in trattamento ha registrato valori inferiori, probabilmente a causa di un decremento nell’ossidazione di acidi grassi liberi (FFA) da utilizzare come substrato energetico
  • i livelli di FFA e trigliceridi sono aumentati dopo l’esposizione al freddo nel gruppo trattato, ed è stata osservata una riduzione di glucosio circolante, possibile fonte energetica e indice di lipolisi. La lipolisi è supportata dall’attivazione enzimatica di HSL (hormone sensitive lipase) e ATGL (adipose triglyceride lipase)
  • la tolleranza al glucosio è aumentata nel gruppo in trattamento, mentre risulta diminuita l’espressione di enzimi correlati alla forma ossidata degli acidi grassi.

Gli effetti di TMAVA sono stati dunque indagati dal punto di vista proteomico:

  • dall’alterazione proteica osservata, TMAVA sembra implicato nel metabolismo degli acidi grassi con accumulo epatico di FFA, ceramidi in particolare
  • l’enzima γ-butyrobetaine idrossilasi (BBOX) per la sintesi di carnitina (aminoacido implicato nel mantenimento dell’omeostasi) ha registrato valori di espressione maggiori nel gruppo in trattamento
  • livelli maggiori del precursore non idrossilato γ-BB sono stati registrati nel plasma e nelle urine, suggerendone la mancata conversione in presenza di TMAVA
  • maggiori livelli di γ-BB sono risultati correlati a un maggior rischio di patologia epatica (OR= 2,02)
  • di contro, l’espressione di carnitina ha registrato una diminuzione.

Conclusioni

TMAVA sembrerebbe perciò in grado di inibire la produzione di carnitina, agendo da inibitore competitivo per BBOX, enzima implicato nella sua conversione. Tale associazione è stata inoltre confermata con la somministrazione della forma deuterata dell’enzima e modificando modelli murini in modo da non esprimerlo.

La somministrazione esogena di carnitina ha tuttavia dimostrato di invertire gli effetti di TMAVA a livello epatico, con un miglioramento dei parametri ematici. È stata infatti registrata una significativa riduzione nei livelli di AST, trigliceridi (-50% nel plasma, -20% nel fegato rispetto ai non supplementati), FFA, oltre che nel peso totale dell’organo.

In conclusione, dunque, il TMAVA prodotto dal microbiota intestinale sembra influenzare lo sviluppo di steatosi epatica non alcolica e potrebbe avere un potenziale valore prognostico.

Interventi clinici basati sulla somministrazione di carnitina, aminoacido ridotto in presenza di patologia e correlato al metabolita in questione, oltre che un’appropriata modulazione batterica potrebbero perciò rappresentare valide strategie di prevenzione e/o trattamento.

Silvia Radrezza
Laureata in Farmacia presso l’Univ. degli Studi di Ferrara, consegue un Master di 1° livello in Ricerca Clinica all’ Univ. degli Studi di Milano. Borsista all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS dal 2017 al 2018, è ora post-doc presso Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics a Dresda (Germania).

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