Il rischio di patologie ginecologiche, complicanze durante la gestazione e malattie sessualmente trasmesse, è in parte influenzato dalla comunità batterica locale. Microbiomi dominati da L. iners o L. crispatus, frequenti in donne sub-sahariane molto di più che nel mondo occidentale, sembrerebbero infatti migrare verso profili ad alto rischio con una maggiore presenza di ceppi anaerobi e scarsa in lattobacilli con le relative conseguenze.
Una manipolazione del pattern batterico mirata al ripristino di profili fisiologici potrebbe quindi aiutare a prevenire problematiche di salute femminile tutt’ora comuni e poco considerate tra quelle popolazioni.
È quanto dimostra lo studio di Alexander Munoz e colleghi della Harvard Medical School (Boston, USA), di recente pubblicato su Microbiome.
Microbiota vaginale e salute della donna
Il microbiota cervicovaginale influenza la salute ginecologica della donna, ma anche il buon decorso della gravidanza e di eventuali malattie sessualmente trasmesse, Hiv inclusa.
Tra le donne del sud-Africa e sud-Sahara riunite in corti di studio, la maggior parte ha mostrato una popolazione batterica diversificata, ma caratterizzata da una bassa presenza di Lactobacillus, ma alta di Gardnerella vaginalis o Prevotella.
Una minoranza ha invece mostrato una buona espressione di queste specie, L. crispatus e L. iners in particolare.
Andamento contrario in donne caucasiche europee e americane che hanno invece mostrato profili batterici o cervicotipi (CTs) principalmente dominati da lattobacilli.
Considerando come i profili comuni tra le donne africane siano correlati a un maggior rischio di sviluppare patologie e complicazioni gestazionali e come il riarrangiamento verso una composizione potenzialmente dannosa sia stato ancora poco esplorato, in questo studio sono state approfondite le dinamiche di transizione focalizzandosi sui principali attori coinvolti.
Lo studio sul microbiota cervicovaginale
Per farlo, sono stati periodicamente collezionati e analizzati tamponi di microbiota cervicovaginale di 88 donne sane al baseline e seguite per, in media, 9 mesi (316 campioni in totale).
La composizione batterica è stata quindi caratterizzata attraverso 16S rRNA gene sequencing e i profili classificati nei 4 cervicotipi (CTs) comunemente accettati in base alle specie predominanti (CT1 se dominato da L. crispatus; CT2 dominato da L. iners; CT3 dominato da G. vaginalis; CT4 dominato da Prevotella). Di seguito i principali risultati.
Da un primo confronto dei campioni nel tempo e condizioni cliniche si è visto un diffuso riarrangiamento con un generale aumento di diversità all’interno dei vari CTs. In particolare:
- donne con CT1 hanno mostrato una migrazione verso CT2, da CT2 a CT3 e CT4. Transizioni dirette da CT1 a CT3-4 o in direzione opposta (da CT3-4 a CT2 o 1) sono invece risultate più rare come confermato anche da modelli matematici probabilistici
- donne già in CT3-4 al baseline hanno invece mostrato una maggiore stabilità nel tempo rispetto agli altri CTs che sono invece risultati più mobili
- il profilo CT2 sembrerebbe essere l’intermediario tra comunità associate con outcomes positivi (CT1) e quelle a più alto rischio e alta diversità (CT3-4)
- all’interno del gruppo CT2, campioni che hanno mostrato i maggiori valori di alpha diversity sono risultati anche quelli più soggetti a una transizione verso CT3
Come cambiano i cervicotipi
Una volta determinate le probabilità di transizione in condizioni spontanee, simulando un contesto clinico abituale, sono stati approfonditi gli effetti di un singolo fattore esterno nella successiva distribuzione di CTs.
Nonostante gli interventi di destabilizzazione, nessuno ha mostrato di influenzare la comunità batterica nel lungo periodo. Il CT1 (L. crispatus) è però risultato il più suscettibile a questi turbamenti con una maggiore durata nel tempo.
Una volta osservato il carattere transitorio, è stato valutato l’impatto di eventuali transizioni. Tra tutti gli interventi, a ottenere più successo sono stati quelli indirizzati a CT1-CT2 supportando l’ipotesi che manipolazioni mirate su L. crispatus e L. iners possano aumentare il numero di donne con un profilo CTs a basso rischio.
Conclusioni
Per riassumere, questo studio aiuta a comprendere le dinamiche temporali del microbiota cervicovaginale di donne africane andando a identificare la natura transiente della comunità batterica dominata da L. crispatus (CT1) e L. iners (CT2) e a suggerire interventi mirati a favorire un suo riarrangiamento verso un profilo CT1.
Una predominanza di L. crispatus ha infatti mostrato una miglior protezione per la salute della donna. I trattamenti correntemente in uso, prevalentemente a base antibiotica, non sembrerebbero favorire questa transizione.
Interventi mirati sarebbero quindi la strategia migliore in termini di prevenzione e trattamento di disturbi ginecologici e possibili complicazioni in gravidanza.