Un gruppo di ricercatori delle Università di Zhengzhou e Zhejiang ha studiato il meccanismo con cui sia il microbiota orale, sia quello intestinale, possono essere coinvolti nello sviluppo di Covid-19 e come eventuali biomarker potrebbero essere sfruttati per una diagnosi non invasiva.
I risultati, pubblicati sulla rivista Gut, hanno evidenziato una diminuzione della diversità microbica orale nei pazienti con Covid-19 rispetto ai controlli sani
Coronavirus, la diagnosi con tampone
La pandemia globale da Covid-19 ha causato oltre 100 milioni di infezioni e oltre 2 milioni di morti. La metodica gold standard per la diagnosi dell’infezione da Sars-CoV-2 è il tampone molecolare, un test che rileva e identifica la presenza del genoma (RNA) del virus attraverso protocolli Real-Time PCR.
Purtroppo però tale strumento rappresenta un argomento di discussione visto il tasso di falsi negativi di almeno il 20%.
Sars-CoV-2 ha come bersaglio l’ACE2 (Angiotensin-Converting Enzyme 2, Enzima 2 di Conversione dell’Angiotensina), proteina transmembrana espressa sulle cellule del fegato, dei reni, del cervello, degli epiteli dell’intestino tenue e polmonare. Il virus, legandosi al dominio extracellulare dell’ACE2 penetra nelle cellule e, attivando i recettori intestinali di ACE2, induce uno stato infiammatorio che causa sintomi gastrointestinali e disbiosi del microbiota.
È stato ampiamente dimostrato come il microbiota umano sia coinvolto nell’immunità dell’ospite e nel suo metabolismo e sia correlato alle malattie virali.
Tuttavia, non è ancora chiaro se lo studio di marcatori microbici sia in grado di diagnosticare il Covid-19, come invece avviene per altre patologie. Molti studi, infatti, hanno dimostrato la validità scientifica dell’analisi del microbioma orale e fecale come strumento non invasivo per diagnosticare malattie specifiche come per esempio il cancro epatocellulare e l’artrite reumatoide, o virali.
Ancora in discussione il ruolo del microbiota
Il microbioma potrebbe influenzare la progressione della malattia, ma restano ancora sconosciuti sia la sua caratterizzazione, sia le correlazioni nei pazienti con Covid-19.
Inoltre, i cambiamenti dei metaboliti prodotti dai microrganismi possono riflettere la progressione della malattia in quanto gli acidi grassi a catena corta (SCFA, Short Chain Fatty Acid)), prodotti finali del metabolismo microbico intestinale, sono coinvolti nell’espressione genica, nell’infiammazione, nella differenziazione e nell’apoptosi delle cellule ospiti.
Per verificare questa ipotesi, il team di gruppo di ricercatori delle Università di Zhengzhou e Zhejiang ha sequenziato campioni orali e fecali utilizzando il 16S rRNA MiSeq al fine di caratterizzare il microbioma e costruire un modello di diagnosi. Al contempo, campioni di siero sono stati analizzati utilizzando la cromatografia liquida ad alta prestazione-spettrometria di massa (UPLC-MS) per caratterizzare le molecole lipidiche.
In particolare, sono stati studiati 392 campioni della lingua, 172 campioni fecali e 155 campioni di siero di soggetti tra i 33 -61 anni suddivisi come: controlli sani (HC); pazienti confermati (CP); pazienti sospetti (SP); pazienti confermati che sono guariti (RCP); pazienti sospetti guariti (SPR).
Covid-19 e diversità del microbiota
I risultati hanno riportato una diminuzione della diversità microbica orale nei pazienti con Covid-19 rispetto ai controlli sani, mentre è risultata simile tra i pazienti sospetti e quelli confermati, ma significativamente ridotta rispetto agli HC.
La stessa tendenza è stata rilevata nel microbioma fecale, con un significativo abbassamento della diversità microbica sia per i pazienti con COVID, sia per i SP, rispetto ai HC.
Nei pazienti con Covid-19 rispetto ai controlli sani, sono diminuiti i batteri produttori di butirrato, tra cui Porphyromonas e Fusobacterium, invece sono aumentati quelli che causano un incremento dei livelli di lipopolisaccaride, tra cui Leptotrichia e Selenomonas, con conseguente aumento dello stato infiammatorio.
Sono state selezionate 8 OTU (Operational Taxonomy Units) come “classificatori” microbici e, conseguentemente, è stato verificato il loro potenziale diagnostico in 74 pazienti Covid e 37 soggetti sospetti positivi alle IgG.
Le analisi hanno mostrato che tali marcatori hanno una buona efficienza diagnostica: hanno permesso di individuare con successo i casi sospetti grazie alla positività agli anticorpi IgG con un’efficacia del 92,11% (98,01% nel microbioma fecale).
Questi dati supportano l’ipotesi iniziale di utilizzare un modello basato sui microrganismi per rilevare l’infezione da Sars-Cov-2.
In aggiunta, 808 molecole lipidiche sono state identificate e quantificate. Rispetto ai sani, nei CP 47 molecole lipidiche, tra cui sfingomielina e monogliceride, erano assenti, mentre 122 molecole lipidiche, tra cui fosfatidilcolina, fosfatidiletanolamina e digliceride, erano aumentate durante la fase di guarigione dei pazienti.
Conclusioni
Per concludere, questo è il primo studio ad aver trovato alterazioni funzionali e nella composizione del microbiota orale associato a Covid-19 e a pazienti guariti; ad aver identificato marcatori microbici specifici e costruito un modello diagnostico, ottenendo una buona efficacia diagnostica in un’ampia coorte.
Pertanto, tali alterazioni microbiche e lipidiche, orali e intestinali, possono essere coinvolte nello sviluppo e nel recupero di Covid-19, il che implica che intervenire su di esse potrebbe contribuire alla guarigione.
Infine, i marcatori microbici potrebbero servire come strumento ausiliario per diagnosticare il Covid-19 in maniera non invasiva. In combinazione con la Real-Time PCR, possono migliorare ulteriormente l’efficacia del rilevamento di casi Covid-19 sospetti nella popolazione.