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Sindrome di Wilson: microbiota intestinale possibile target terapeutico

In pazienti con la sindrome di Wilson la diversità e la composizione batterica intestinale si mostrano significativamente inferiori.
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Stato dell’arte
La sindrome di Wilson è un disordine ereditario con alti tassi di mortalità o disabilità. Recenti studi hanno evidenziato una correlazione tra disbiosi intestinale e, tra le altre, malattie genetiche e/o metaboliche. Nel caso della sindrome di Wilson tale aspetto rimane però da chiarire.

Cosa aggiunge questo studio
Al fine di profilare la componente batterica intestinale in assenza o presenza di malattia per un’eventuale associazione al quadro clinico, i ricercatori hanno analizzato i campioni fecali di 14 pazienti con sindrome di Wilson e 16 controlli sani.

Conclusioni
La diversità e la composizione batterica nel gruppo con patologia si sono mostrate significativamente inferiori. Uno stato di disbiosi potrebbe quindi essere associato alla sindrome in questione rappresentando un potenziale e alternativo target terapeutico.

Disbiosi intestinale e sindrome di Wilson. Anche qui potrebbe esserci una relazione che andrebbe ad approfondire le nostre conoscenze sulla patologia e suggerire nuove strategie terapeutiche puntate a ristabilire diversità e composizione della componente batterica.

Lo conclude lo studio di Xiangsheng Cai e colleghi della Guangdong Pharmaceutical University di Guangzhou (Cina), di recente pubblicato su Scientific Reports.

Sindrome di Wilson: il ruolo dell’intestino

La sindrome di Wilson (WD) è un disordine cronico degenerativo con base ereditaria (fortunatamente poco diffuso) e caratterizzato dal progressivo accumulo di rame in organi vitali come cervello, fegato ecc.

Mutato è infatti il trasporto di questo metallo con un suo eccesso nel tratto biliare. La componente genetica non è però la sola causa. Fattori ambientali e alimentari hanno infatti dimostrato un altrettanto coinvolgimento.

Tra i rimedi, la penicillamina (prodotto metabolico della penicillina per azione del microbiota intestinale) è la prima scelta, grazie alla sua capacità di intrappolare il rame. Sulla base di questi meccanismi, probabile è un più attivo interessamento della componente batterica (non solo come attore metabolico) in questa patologia.

Non solo, il tratto intestinale è il primo sito di entrata del rame dall’esterno, ma anche il microbiota ha dimostrato in più occasioni di esser correlato a disturbi autoimmunitari. Il reale contributo del microbiota nella sindrome di Wilson è però ancora poco chiaro. Hanno dunque cercato di approfondirlo in questo studio, confrontando il microbioma intestinale di 14 pazienti con WD e 16 controlli sani. Vediamo cosa si è scoperto.

Come cambia il microbiota intestinale

Partendo dalla caratterizzazione generale del profilo batterico:

  • 1.604 OTUs sono stati individuati appartenenti a 15 phyla, 85 famiglie e 153 generi. Di questi, 647 sono stati associati al gruppo WD, 843 ai controlli, suggerendo quindi una riduzione nei primi di densità batterica
  • a livello di phylum, Firmicutes, Bacteroidetes, Proteobacteria, Actinobacteria, Verrucomicrobia e Fusobacteria sono risultati in comune tra i gruppi rappresentando il 99,73% del gruppo WD, il 99,89% nella controparte
  • il gruppo WD, rispetto al gruppo sano, ha mostrato una marcata riduzione di Actinobacteria (4,67% vs 7,94%, P < 0,05), Firmicutes (53,39% vs 61,77%, P < 0,05) e Verrucomicrobia (0,24% vs 0,44%, P < 0,05) oltre che al rapporto Firmicutes/Bacteroidetes (1,90 vs 2,86, P < 0,05) con, di contro, un aumento di Bacteroidetes (28,13% vs 21,59%, P < 0,05), Proteobacteria (13,01% vs 8,00%, P < 0,05) e Fusobacteria (0,29% vs 0,15%, P < 0,05)
  • a livello di famiglia, 63 e 73 sono quelle più abbondanti nel gruppo WD e controllo rispettivamente. Lachnospiraceae (phylum Firmicutes), Ruminococcaceae (phylum Firmicutes), Bacteroidaceae (phylum Bacteroidetes), Veillonellaceae (phylum Firmicutes), Prevotellaceae (phylum Bacteroidetes), Enterobacteriaceae (phylum Proteobacteria), Bifidobacteriaceae (phylum Actinobacteria) e Coriobacteriaceae (phylum Actinobacteria) rappresentano le otto componenti predominanti nel gruppo WD. Nel gruppo controllo invece, i più rappresentati si sono mostrati essere Veillonellaceae, Bacteroidaceae, Lachnospiraceae, Enterobacteriaceae, Ruminococcaceae, Prevotellaceae, Clostridiales (phylum Firmicutes) e Bifidobacteriaceae 
  • passando al genere, il numero di ceppi è risultato significativamente differente tra i gruppi. Nel gruppo WD Bacteroides (phylum Bacteroidetes), Enterobacteriaceae (phylum Proteobacteria), Megamonas (phylum Firmicutes), Prevotella (phylum Bacteroidetes), Megasphaera (phylum Firmicutes), Ruminococcaceae (phylum Firmicutes), Lachnospiraceae (phylum Firmicutes), Phascolarctobacterium (phylum Firmicutes), Bifidobacterium (phylum Actinobacteria), eClostridiales (phylum Firmicutes) sono i 10 componenti dominanti dei 121 generi individuati. Nel gruppo controllo dei 131 totali, i generi predominanti sono invece risultati essere Lachnospiraceae, Bacteroides, Ruminococcaceae, Prevotella, Blautia (phylum Firmicutes), Enterobacteriaceae, Bifidobacterium, Ruminococcus (phylum Firmicutes), Coprococcus (phylum Firmicutes) e Phascolarctobacterium

Confrontando poi le caratteristiche di composizione, diversità e funzionalità batterica più nel dettaglio si è visto che:

  • l’alpha-diversity si è mostrata significativamente inferiore nel gruppo WD rispetto ai controlli
  • nessuna differenza in termini di ricchezza batterica tra i gruppi
  • la beta-diversity ha invece mostrato profili nettamente distinti tra i gruppi evidenziando una struttura batterica differente
  • il gruppo WD ha mostrato una minor ricchezza di pathways metabolici in particolare relazionati a zuccheri quali fruttosio, mannosio, butanoato, gliossilato e nei meccanismi di trasporto (influenzando quindi anche quello del rame)

Conclusioni

Per concludere, il microbiota di pazienti con sindrome di Wilson mostra una parziale eliminazione della componente batterica con una riduzione di diversità batterica influenzando anche il metabolismo energetico e del trasporto intra/extracellulare.

La disbiosi evidenziata potrebbe quindi contribuire allo sviluppo della malattia, suggerendo la possibilità di mettere a punto strategie preventive e/o terapeutiche basate sul riequilibrio batterico intestinale.

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