Prevenzione cardiovascolare e intestino, un binomio sempre più studiato. Sono molte le ricerche pubblicate negli ultimi mesi che dimostrano il ruolo essenziale del microbiota intestinale nella prevenzione delle patologie aterosclerotiche. In particolare sul metabolismo lipidico.
Alcune indagini hanno infatti messo in evidenza l’esistenza di correlazione stretta tra le popolazioni batteriche intestinali e i livelli di colesterolo e trigliceridi, nonché la possibilità di modulare il microbiota attraverso probiotici specifici.
Il primo consensus paper italiano su nutraceutica e controllo del colesterolo
Con l’obiettivo di fare una fotografia dello stato dell’arte della ricerca e iniziare a ragionare, anche in termini farmacoeconomici, su questo tema è stato redatto e presentato nei giorni scorsi a Bologna durante il congresso annuale SINut (Società Italiana di Nutraceutica), un documento di consenso intersocietario che valuta il potenziale nutra-economico e i benefici clinici derivanti dall’utilizzo dei nutraceutici, attivi sulla disbiosi intestinale, per il controllo dell’ipercolesterolemia e dei problemi cardiovascolari.
Secondo quanto emerge dal consensus paper, realizzato con il supporto incondizionato di Montefarmaco OTC, oltre ai benefici clinici i nutraceutici potrebbero svolgere un ruolo fondamentale sul contenimento dei costi sanitari se adottati per la prevenzione e il controllo di specifiche patologie ad alto impatto socioeconomico, come appunto quelle cardio e cerebro vascolare.
Spiega Giorgio Colombo, docente di Organizzazione Aziendale, Facoltà di Farmacia, Università degli Studi di Pavia e Direttore Scientifico S.A.V.E. – Studi Analisi Valutazioni Economiche di Milano: «Complessivamente si stima che il costo delle malattie cardiovascolari in Europa superi i 196 miliardi di euro l’anno. Di questi, il 54% è associato a costi diretti sanitari sostenuti dai Sistemi sanitari; il 24% è dovuto a costi indiretti associati alla perdita di produttività dei pazienti e il 22% è sostenuto dalle famiglie in termini di informal care».
«Nel nostro Paese il costo medio sostenuto dal SSN per soggetto con ipercolesterolemia è di 6.100 euro l’anno, che oscillano da 3400 euro a 8.800 euro» aggiunge l’esperto «e secondo i risultati di una recente analisi di nutra-economia, il potenziale risparmio che si genererebbe per il Servizio sanitario nazionale nell’arco temporale di 10 anni a seguito dell’uso dei prodotti nutraceutici nell’ipercolesterolemia, ammonterebbe a circa 116 milioni di euro, che si tradurrebbe, pertanto, in un risparmio annuo di circa 11,6 milioni di euro. Se l’intento è quello di spostarsi dalla medicina tradizionale alla medicina preventiva e dalla promozione del farmaco a quella della salute, i prodotti nutraceutici potrebbero risultare utili per la riduzione dell’incidenza di importanti patologie croniche e/o delle loro complicanze e comportare, quindi, un reale risparmio per il Sistema Sanitario».
Probiotici e colesterolemia: come e quando sono utili
Oggi è possibile intervenire nell’ipercolesterolemia lieve utilizzando ceppi probiotici specifici come i bifidobatteri, dotati di attività idrolitica, in grado cioè di rompere enzimaticamente il legame tra il colesterolo secreto nella bile e i sali biliari, in modo quando raggiunge il lume intestinale si trovi in una condizione di minor solubilità e sia riassorbito in minor misura.
Afferma Arrigo Cicero, presidente SINut e primo firmatario del documento: «non sempre, per ridurre i valori medio – bassi di colesterolo nel sangue, è necessario ricorrere ai farmaci e non sempre è sufficiente una variazione dello stile di vita. Diversi studi clinici oggi dimostrano che singoli integratori, o associazioni di integratori, possono dimostrarsi particolarmente efficaci per il contenimento della colesterolemia. Un approccio scientifico interessante è rappresentato dalla possibilità di associare un integratore per la riduzione del colesterolo a uno che possa ridurre l’assorbimento del colesterolo a livello intestinale, come ad esempio il riso rosso fermentato con i probiotici; lo attesta uno studio clinico dell’Università di Milano, presentato poco più di un anno fa».
«Nel caso in cui non sia utilizzabile in prima scelta la statina, può essere necessario usare un integratore nutraceutico» conclude Alberto Martina del Dipartimento di Scienze del Farmaco e Master Prodotti Nutraceutici dell’Università degli Studi di Pavia «anche il caso dell’intolleranza ai farmaci può far preferire i nutraceutici. Con l’aumento dell’età, gli effetti negativi delle statine possono farsi sentire maggiormente, quindi i nutraceutici possono essere una valida alternativa, o possono essere somministrati a supporto del farmaco stesso. In questo caso si parla di supplementazione nutraceutica (add on treatment)».