Circa 50 milioni di persone in tutto il mondo soffrono di demenza: nel 70% dei casi a causarla è la malattia di Alzheimer. Una nuova ricerca condotta sui topi mostra che alcuni microbi intestinali possono aiutare ad alleviare le difficoltà cognitive associate all’Alzheimer.
I risultati, pubblicati su Cell Reports Medicine, suggeriscono in particolare che ceppi specifici di Faecalibacterium prausnitzii potrebbero essere buoni candidati per terapie “microbiome-based” contro l’Alzheimer.
Alzheimer e intestino
Diversi studi hanno dimostrato una correlazione tra il microbiota intestinale e condizioni cerebrali tra cui l’autismo, il morbo di Parkinson e il morbo di Alzheimer.
Per esempio, alcuni studi hanno osservato che i trattamenti antibiotici riducono la deposizione delle placche beta-amiloidi in modelli murini di Alzheimer.
In più, diverse ricerche condotte sull’uomo hanno riportato una relazione tra il microbiota intestinale e l’Alzheimer o il lieve deterioramento cognitivo che precede questa patologia.
Per indagare se esista una relazione causale tra specifici batteri intestinali e i deficit cognitivi, Takuji Yamada del Tokyo Institute of Technology e i suoi colleghi hanno analizzato il microbiota e le capacità cognitive di persone sane e individui con lieve deterioramento cognitivo e morbo di Alzheimer.
Microbiota e declino cognitivo
I ricercatori hanno reclutato 21 persone sane, 15 individui con lieve deterioramento cognitivo e sette individui con malattia di Alzheimer. Tutti gli individui vivevano in Giappone e quelli con difficoltà cognitive o demenza erano over65.
Il team di ricercatori giapponesi ha così scoperto che nelle persone con decadimento cognitivo lieve, si registra un aumento dei batteri del genere Prevotella e una riduzione dei generi Faecalibacterium, Ruminococcaceae e Anaerostipese.
Il batterio F. prausnitzii è risultato anche il più abbondante nelle persone sane.
Gli effetti del Faecalibacterium prausnitzii
Dopo aver isolato due ceppi di F. prausnitzii da individui sani, i ricercatori hanno trasferito i batteri in un modello murino di Alzheimer: entrambi i ceppi hanno migliorato il deterioramento cognitivo.
Per esplorare il potenziale meccanismo d’azione, i ricercatori hanno analizzato i metaboliti presenti nell’ippocampo dei topi: è emerso, in particolare, che il trasferimento di uno dei ceppi di F. prausnitzii è in grado di ridurre i livelli di diversi metaboliti, inclusi alcuni implicati nello stress ossidativo e nella funzione mitocondriale.
Conclusioni
Sarà ora necessario condurre ulteriori ricerche per determinare se le differenze nell’abbondanza di Faecalibacterium tra le persone sane e quelle con lieve deterioramento cognitivo sono un fenomeno universale. Studi futuri in modelli murini di Alzheimer dovranno anche indagare l’efficacia dei ceppi di F. prausnitzii sull’accumulo delle placche beta-amiloidi.