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Disturbi del sonno: il lavoro notturno altera il microbioma intestinale

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Disturbi del sonno: il lavoro notturno altera il microbioma intestinale

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Un nuovo studio, frutto della collaborazione fra l’ateneo australiano Central Queensland University e la University of Colorado Boulder, esplora la complessa relazione fra i disturbi del sonno e le malattie metaboliche, concentrandosi in modo particolare sul ruolo del microbioma intestinale.

Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Molecular Metabolism, fornisce una visione più organica sui problemi di salute legati ai disturbi del sonno, particolarmente frequenti e complessi da trattare, specie per chi lavora su turni.

Il lavoro su turni è stato recentemente associato a una maggiore incidenza di malattie metaboliche, incluso il diabete di tipo 2 e l’obesità.

I turnisti, secondo recenti studi, dormono meno e spesso a orari non convenzionali, e se la contromisura più logica è invitare i lavoratori a dormire di più, ciò non è sempre possibile.

Di qui la necessità di identificare target terapeutici adeguati, per fornire un maggiore supporto sul lungo termine.

Negli ultimi vent’anni, riportano i ricercatori, sono stati condotti numerosi studi (sia su modelli animali, sia su umani) sul sonno e sulle conseguenze per la salute derivate dal riposo non adeguato e dalle alterazioni del ritmo circadiano.

La correlazione con il microbioma è stata invece stabilita più di recente: partendo dal presupposto che la deprivazione del sonno ha importanti conseguenze fisiologiche e sistemiche per l’organismo, un recente studio su animali ha dimostrato che l’immunosoppressione facilita la proliferazione e la mobilità dei batteri intestinali verso tessuti normalmente ritenuti sterili.

Altre ricerche hanno evidenziato come il sonno e l’interruzione del ritmo circadiano possano produrre squilibri a danno del microbioma intestinale, soprattutto se in combinazione con coliti indotte da alcol e diete ad alto contenuto di zuccheri e grassi.

La relazione fra sonno, microbioma e alimentazione è però ancora più complessa. I ricercatori hanno evidenziato innanzitutto problemi di ordine metodologico, nel passaggio dallo studio su animali a quello sugli esseri umani.

Diversi approcci nel prelievo di campioni fecali, essenziali per esaminare la composizione del microbioma, portano a risultati diversi, per via dei ritmi biologici dei batteri stessi, e della loro sensibilità alla melatonina.

Gli studi relativi alla deprivazione del sonno presi in esame dai ricercatori, inoltre, hanno dato risultati ambivalenti riguardo all’associazione fra la diversità di specie presenti nel microbioma e fattori come la sensibilità all’insulina.

Tale associazione è assente in condizioni di deprivazione del sonno acuta (per brevi periodi), mentre è stato rilevato un nesso fra la deprivazione cronica e l’assunzione abbondante di cibo, nonché la carenza di batteri che contribuiscono a mantenere la solidità della mucosa intestinale, la risposta infiammatoria e l’insulino-resistenza.

La risposta infiammatoria, nello specifico, risulta invariata negli animali sterili esposti al microbioma di animali sottoposti a deprivazione del sonno. Risultati, questi, che suggeriscono un controllo accurato dei marker per l’infiammazione nei futuri studi sugli esseri umani.

I ricercatori, infine, ricordano l’importanza degli esperimenti sul sonno in ambiente controllato, vista la possibilità di verificare la risposta del microbioma sotto diversi gradi di deprivazione del sonno e di ritmi circadiani.

«Quantificare la stabilità del microbioma intestinale umano in ambiente di laboratorio è essenziale per assicurarsi di stabilire paragoni significativi fra condizioni di sonno base e sperimentali» spiegano gli scienziati.

Anche la quantità di cibo assunta è un fattore da tenere in considerazione, vista la concreta possibilità di una relazione diretta fra il sonno frammentato e le alterazioni del microbioma intestinale.

Attraverso simulazioni in laboratorio e studi di coorte sulle condizioni di lavoro in turni sarà possibile, secondo gli scienziati, avere un quadro più chiaro della situazione e ottenere indizi importanti sugli approcci terapeutici più efficaci per le conseguenze sanitarie cui i lavoratori turnisti sono esposti.

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