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Il microbiota intestinale “dice” al cervello i nutrimenti di cui ha bisogno

Leggi l'articolo completo | Champalimaud Centre for the Unknown – Lisbon (Portugal) | Pubblicato su PLOS Biology
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Il microbiota intestinale “dice” al cervello i nutrimenti di cui ha bisogno

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Un recente studio, nato dalla collaborazione fra il Champalimaud Centre for the Unknown di Lisbona e la Monash University, in Australia, ha dimostrato che i batteri intestinali sono in grado di suggerire al cervello quali sono i nutrienti di cui l’organismo ha bisogno.

La ricerca è stata condotta utilizzando per gli esperimenti la Drosophila melanogaster, il moscerino della frutta. Gli insetti sono stati suddivisi in tre gruppi, ognuno dei quali è stato nutrito per 72 ore in maniera diversa: il primo con una soluzione di saccarosio contenente tutti gli amminoacidi essenziali, ovvero gli aminoacidi che l’organismo non è in grado di produrre in quantità sufficiente e che quindi deve assumere attraverso l’alimentazione.

Il secondo con una soluzione che conteneva solo alcuni aminoacidi essenziali. Il terzo con una soluzione a cui sono stati tolti, uno per volta, tutti gli aminoacidi essenziali.

Terminate le 72 ore, ai tre gruppi di moscerini sono stati proposti sia la normale soluzione zuccherata sia lievito ricco di proteine, che è stato preferito proprio dai due gruppi di moscerini che erano stati precedentemente nutriti con una dieta priva di almeno uno degli aminoacidi essenziali.

La necessità di compensare questa mancanza sembra però scomparire se nel microbiota intestinale degli insetti sono presenti determinati ceppi batterici.

I ricercatori sono giunti a questa conclusione dopo aver osservato che l’aggiunta di 5 ceppi batterici alla soluzione priva di un aminoacido essenziale ha fatto perdere agli insetti l’istinto di nutrirsi con lievito ricco di proteine.

In particolare, secondo quanto riportato sulla rivista Plos biology, sono due i ceppi batterici in grado di agire sulla scelta dei nutrienti: Acetobacter pomorum e Lactobacilli.

Modello dell’impatto che gli aminoacidi essenziali hanno sulle scelte nutrizionali e sulla riproduzione, a seconda della presenza del microbioma dell’ospite (sistema nervoso in azzurro; aminoacidi essenziali in arancione; batteri commensali in viola). La grandezza delle frecce che dalla proboscide del moscerino vanno verso il cibo indica la quantità di nutrimento assunto. Il numero di uova indica la capacità riproduttiva. Le frecce arancioni e viola indicano i potenziali effetti degli aminoacidi essenziali e dei metaboliti rispettivamente a livello del sistema nervoso e riproduttivo. Il termine “metabolita X” si riferisce a un ipotetico metabolita in grado di mimare la presenza degli aminoacidi essenziali. (credit: Leitão-Gonc ̧alves R, Carvalho-Santos Z, Francisco AP, Fioreze GT, Anjos M, Baltazar C, et al. (2017) Commensal bacteria and essential amino acids control food choice behavior and reproduction. PLoS Biol 15(4): e2000862.)

A differenza di quanto inizialmente ipotizzato dai ricercatori, questi batteri non producono gli aminoacidi di cui la dieta dei moscerini era carente (i livelli degli aminoacidi infatti non cambiano), ma probabilmente sono in grado di produrre metaboliti che “dicono” al cervello che l’organismo non ha la necessità di nutrirsi con le proteine per sopravvivere, oltre che per riprodursi.

Infatti, sebbene i moscerini che per 72 ore avevano seguito una dieta povera di aminoacidi essenziali deponessero meno uova, l’aggiunta dei ceppi batterici ha riportato alla normalità la capacità riproduttiva degli insetti.

I risultati ottenuti indicano quindi che l’intestino, e in particolare il suo microbiota, è in grado di comunicare con il cervello modulando le scelte nutrizionali.

«Uno dei grandi misteri evolutivi è il motivo per cui abbiamo perso la capacità di produrre gli aminoacidi essenziali» commenta Carlos Ribeiro, che ha coordinato lo studio. «Forse questi metaboliti hanno dato agli animali maggiori margini per essere indipendenti da quei nutrienti e per poterne fare a meno in alcune circostanze».

I dati raccolti finora si limitano a un modello animale, ma gli autori non escludono che, in futuro, lo studio di come intestino e cervello comunicano fra di loro possa essere utile per sviluppare  trattamenti per l’uomo. «Si tratta di un’interessante finestra terapeutica che un giorno potrebbe essere usata per migliorare i comportamenti legati alla dieta» commenta a tal proposito Ribeiro.

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