Il microbiota orale si modella grazie alla sua capacità di co-evolversi con l’ospite stesso, ma anche grazie alla diversa fisiologia delle varie parti della bocca. Infatti, l’ospite fornisce ai batteri commensali una nicchia ecologica stabile, mentre i batteri che vivono nel cavo orale supportano sia a livello locale che sistemico la salute dell’ospite formando biofilm in grado di bilanciare il pH, inibire la proliferazione di batteri patogeni e rinforzare i processi fisiologici.
Al contrario, quando un biofilm passa, da uno stato di equilibrio ad uno di disbiosi, ovvero di non equilibrio omeostatico con l’ospite, il microbiota lì presente può contribuire allo sviluppo di processi patologici tipici di una vasta gamma di malattie come malattia infiammatoria dell’intestino (IBD), artrite, cancro al colon ed al pancreas, malattia di Alzheimer fungendo così da reservoir di microrganismi patogeni.
A fare il punto su questo argomento sono Timur Tuganbaev, Koji Yoshida e Kenya Honda, ricercatori della Keio University School of Medicine di Tokyo, in Giappone, in una Perspective letter pubblicata recentemente su Science.
Microbiota orale, secondo per numerosità e diversità
Il microbiota orale rappresenta la seconda comunità di microrganismi come numerosità e diversità presente nel corpo umano, dopo quello intestinale. In dettaglio, il microbiota orale è rappresentato da una vasta gamma di comunità batteriche diverse che riflettono i diversi microambienti della bocca.
L’ospite esercita un controllo diretto e molto raffinato sulla composizione del microbiota orale imponendo una pressione selettiva sulle caratteristiche biochimiche e metaboliche dei microbi, ma anche sulla loro capacità di aderire e colonizzare diversi substrati. L’ospite è in grado di esercitare un ulteriore controllo sul microbiota secernendo immunoglobulina A dalle ghiandole salivari e peptidi antimicrobici come lisozima e lattoferrina.
Biofilm della cavità orale
Questi multipli livelli di controllo da parte dell’ospite dirigono anche la formazione di comunità microbiche specializzate e spazialmente organizzate che cooperano tra loro e che prendono il nome di biofilm.
In un biofilm, differenti specie batteriche sono connesse sia spazialmente sia a livello metabolico per ricavarne un vantaggio in termini riproduttivi per l’intera comunità batterica.
I biofilm orali, al contrario di strutture analoghe localizzate in altri organi o tessuti umani, risultano più stabili e resistenti alle modificazioni esterne.
La capacità da parte dei batteri di auto-assemblarsi in biofilm complessi e sito-specifici sui tessuti sia molli che duri che formano il cavo orale, conferisce al microbiota stesso un ruolo centrale nella modulazione delle interazioni con l’ospite in condizioni fisiologiche e patologiche.
Per esempio, nel biofilm sopragengivale, risiedono cocchi, come lo Streptococcus, in grado di consumare zuccheri e ossigeno producendo acido lattico, acido acetico ed anidride carbonica in grado di supportare la crescita di batteri anaerobi facoltativi presenti negli strati più profondi del biofilm; inoltre lo Streptococcus produce perossido di idrogeno, che ha un’azione difensiva.
Il biofilm presente sulle papille filiformi della zona dorsale della lingua possiede un’architettura particolare ed una composizione che comprende batteri in grado di ridurre i composti dell’azoto come Neisseria e Rothia. Essi sono in grado di aumentare di 1.000 volte la concentrazione di nitriti nella saliva rispetto alla loro concentrazione ematica.
Inoltre, sono capaci di convertire i nitriti in ossido nitrico con effetti benefici sulla salute dell’ospite ovvero abbassamento della pressione, miglioramento della funzione epiteliale e riduzione dello stress ossidativo. Le papille filiformi sono in grado di aumentare la superficie del biofilm fungendo da vero e proprio bioreattore.
Il ruolo del microbiota orale nelle patologie
Risulta evidente come il microbiota orale sia in grado di collaborare al mantenimento della salute dell’ospite sia a livello locale che sistemico. Al contrario, diverse patologie che affliggono il cavo orale possono essere messe in relazione ad una disbiosi dei biofilm.
In diversi contesti patologici, sono stati identificati tipici batteri residenti nel cavo orale in altri organi o distretti del corpo umano, anche molto distanti dalla bocca, come intestino, polmoni, cuore e cervello.
Diversi studi hanno ipotizzato un legame tra l’igiene orale e malattie tipiche dell’apparato respiratorio come asma, malattia cronica ostruttiva polmonare e polmoniti.
La presenza di batteri tipici della bocca è stata rilevata anche nella flora batterica fecale nel contesto di malattia infiammatoria intestinale cronica e coloangite sclerosante primaria, sclerosi multipla e reflusso gastroesofageo.
Inoltre, infezioni opportunistiche da parte di microrganismi tipici del cavo orale possono contribuire all’eziopatogenesi di tumori tipici dell’appartato gastrointestinale: per esempio, Fusobacterium, Parvimonas e Peptostreptococcus sono stati messi in relazione al carcinoma del colon-retto.
Inoltre, la cavità orale può fungere anche da reservoir per patogeni opportunistici che possono colonizzare l’intestino e provocare fenomeni infiammatori, contribuire alla trasformazione tumorale e alla progressione metastatica.
Essendo la cavità orale un distretto corporeo molto vascolarizzato, può accadere che microbi residenti nel cavo orale così come le molecole da essi prodotte, possano raggiungere, attraverso il flusso sanguigno, potenzialmente tutti i distretti corporei dando vita a patologie sistemiche, come l’artrite reumatoide.
È stato inoltre evidenziato un collegamento tra la periodontite e le facoltà cognitive e la demenza. In dettaglio, su campioni di fluido cerebrospinale di pazienti con la malattia di Alzheimer è stata identificata la presenza di P. gingivalis in grado di colonizzare il cervello ed indurre processi neurodegenerativi precipitando con altre proteine.
Conclusioni
Il microbiota orale, oltre ad essere stato messo in relazione allo sviluppo di svariate malattie e a differenti meccanismi patologici, risulta di particolare interesse per l’identificazione di nuovi biomarcatori per malattie locali o sistemiche data la sua facile raggiungibilità e la sua caratteristica stabilità.