Un trapianto fecale, seguito dal probiotico Akkermansia muciniphila, favorisce la risposta alle terapie immuno-oncologiche mirate a ristabilire il corretto funzionamento dei linfociti T.
A dimostrarlo è uno studio condotto da Bertrand Routy e colleghi al Gustave Roussy Cancer Campus (GRCC) di Villejuif, in Francia, di recentissima pubblicazioni in Science.
L’approccio immunoterapico sta registrando notevoli successi in differenti tipologie di tumore basandosi per lo più sulla somministrazione di inibitori del checkpoint immunitario (ICIs).
Tra questi, gli anticorpi monoclonali sono quelli più prescritti grazie alla loro capacità di riattivare la risposta immunitaria bloccando l’interazione tra le proteine recettoriali PD-1, fisiologicamente espresse dai linfociti T, e i ligandi PD-L1, presenti invece nelle cellule tumorali.
Il tumore, esprimendo questi ligandi, riesce infatti a ingannare il nostro sistema immunitario il quale, essendo disattivato, non riesce più a contrastare la sua crescita e diffusione.
Nonostante gli inibitori PD-1/PD-L1 siano risultati particolarmente attivi nei confronti di melanoma, tumore del polmone e del rene, la resistenza a questi farmaci si aggira attorno al 60-70% e numerose sono ad oggi le possibili spiegazioni. Tra queste, come è stato dimostrato da recenti studi condotti in vivo, potrebbe trovare spazio anche la presenza di una disbiosi intestinale.
A questo proposito, il gruppo di ricercatori ha dapprima confrontato in modelli di topo, affetti rispettivamente da sarcoma e melanoma, l’efficacia terapeutica del singolo anticorpo monoclonale inibente PD-1 vs la sua combinazione con un altro anticorpo monoclonale specifico per la proteina CTLA-4 (cytotoxic T lymphocyte-associated protein 4) dopo averne pre-trattato alcuni per 14 giorni con ampicillina, colistina e streptomicina (ABT) al fine di ridurne il corredo batterico.
La combinazione antibiotica ha di fatto compromesso sia l’efficacia farmacologica sia la sopravvivenza, indipendentemente dal tipo di terapia applicata. Risultati analoghi sono stati riscontrati inoltre in modelli di tumore polmonare e del sistema urinario.
Il trattamento antibiotico (ABT) è risultato dunque implicato nello sviluppo di resistenza alla terapia immunoterapica con target su PD1. Ciò ha trovato ulteriore conferma in uno studio condotto su 239 pazienti colpiti da tumore polmonare allo stadio avanzato, i quali hanno riportato un peggioramento in termini di sopravvivenza globale in seguito all’assunzione di ABT.
È ragionevole dunque supporre come la disbiosi provocata da ABT possa in qualche modo contribuire in generale all’inefficacia della terapia farmacologica con ICIs.
Attraverso il confronto dei campioni fecali di pazienti con tumore polmonare e renale rispondenti alla terapia con ICIs vs i non rispondenti e analisi metagenomiche e di caratterizzazione batterica, i ricercatori hanno evidenziato come Akkermansia muciniphila, in particolare, sia positivamente associata a condizioni cliniche migliori in entrambi i tipi di tumore e di come questo determinato genere batterico sia maggiormente espresso nei pazienti rispondenti ai farmaci. Questi ultimi hanno inoltre dimostrato una progressione libera di malattia superiore a 3 mesi.
Il trapianto fecale e la risposta alle terapie
Da ultimo, al fine di determinare la relazione causa-effetto tra l’efficacia dei farmaci inibitori di PD-1 e la predominanza di una particolare specie batterica, sono stati ricolonizzati, attraverso trapianto fecale, i modelli murini precedentemente trattati con ABT. I topi riceventi microbiota da pazienti rispondenti alla terapia hanno a loro volta acquisito responsività, al contrario quelli che sono stati inoculati con microbiota di soggetti resistenti hanno mostrato analogo comportamento. Il trapianto di microbiota fecale da pazienti nei quali gli ICIs si dimostrano efficaci ha difatti comportato un ritardo della crescita tumorale anche nell’ospite.
In conclusione, un trapianto fecale opportunamente selezionato, seguito da un supplemento di Akkermansia muciniphila, utile nel rinforzare l’omeostasi intestinale, potrebbe esser una valida proposta terapeutica nell’incrementare l’efficacia di farmaci oncologici già ampiamente in uso riducendo l’instaurarsi di meccanismi di resistenza veicolati dallo stesso tumore.