La Sindrome delle Apnee Ostruttive del Sonno (OSAS, Obstructive Sleep Apnea Syndrome) è una condizione caratterizzata da ostruzione ricorrente, edema sub-epiteliale e infiammazione delle vie aree superiori. In uno studio pubblicato da poco sulla rivista American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine (AJRCCM) Leopoldo N. Segal della New York University School of Medicine e colleghi hanno dimostrato che la severità di questa condizione sindromica correla con la composizione e con la variabilità del microbiota.
Gli Autori hanno potuto verificare che nelle forme severe di OSAS il microbiota nasale si caratterizza per la prevalenza dei generi Streptococcus, Prevotella, Veillonella e Fusobacterium, normalmente presenti nel cavo orale.
A questa composizione quali/quantitativa del microbiota nasale si associa un aumentato rilascio dei marker dell’infiammazione. L’aver stabilito questa correlazione potrà dare modo di migliorare l’iter diagnostico-terapeutico di questa patologia.
Leggi anche: Microbioma nasale modifica le nostre capacità olfattive
La sindrome delle apnee ostruttive del sonno
La sindrome delle apnee ostruttive del sonno (OSAS) è caratterizzata dal collabimento delle vie aree superiori e dall’insorgenza di brevi periodi di apnea durante il riposo notturno. L’anossia che ne deriva può provocare varie complicanze a carico del cuore (vedi aritmie e scompenso cardiaco destro). La prevalenza stimata è del 34-50% negli uomini e del 17-23% nelle donne.
Durante la fase inspiratoria, quando il diaframma e i muscoli accessori della respirazione si contraggono creando una pressione negativa intratoracica, le prime vie aeree tendono a collassare a causa di un inadeguato tono della muscolatura. In questo modo si realizza una vera e propria ostruzione meccanica all’ingresso dell’aria nelle vie respiratorie più basse. Questo disturbo si verifica più facilmente negli obesi ed è spesso accompagnato dal fenomeno del russare.
Nei soggetti affetti da questa sindrome si riscontra un aumento dei fattori infiammatori sia a livello distrettuale che sistemico.
La terapia viene realizzata grazie ad apparati meccanici che, collegati con il naso del paziente, provvedono in maniera costante a mantenere una pressione positiva nelle vie aeree. Questi apparati vengono indicati con l’acronimo di CPAP dall’inglese Continuous Positive Airways Pressure.
Il microbioma nasale
La parte anteriore di ciascuna cavità nasale (vestibolo) rappresenta una nicchia microbica rivestita da epitelio cheratinizzato in stretta vicinanza con la rinofaringe e con la pelle del volto. La porzione posteriore presenta un epitelio pseudo-stratificato che condivide molte delle sue caratteristiche con l’epitelio delle vie respiratorie inferiori.
Come zona di confine tra l’ambiente esterno e la mucosa respiratoria, la cavità nasale è esposta a tossine, particolato atmosferico e microbi. È stato possibile stabilire che alcuni cambiamenti a carico del microbiota nasale sono associati ad un aumento dello stato infiammatorio dell’ospite. Così, ad esempio, il rischio di andare incontro a rinosinusite cronica aumenta nel caso in cui il microbiota nasale venga colonizzato da Moraxella catarrhalis, Corynebacterium pseudodiphtheriticum, Streptococcus agalactiae e Streptococcus pneumoniae. Nei bambini la composizione del microbiota a livello del rinofaringe è associata ad una maggiore suscettibilità alle infezioni del tratto respiratorio. Infine è stato dimostrato che i meccanismi di difesa contro l’infezione da virus influenzale migliorano se si colonizza la cavità nasale di soggetti sani con Staphylococcus aureus.
Esiste, dunque, una forte correlazione tra lo stato di salute del microbiota nasale e il tono immunologico dell’ospite.
Un concetto importante è quello legato alla variabilità del microbiota nasale. Maggiore è il numero di specie che lo compongono e maggiore è la competizione inter-specie. Sembra che la fagocitosi complemento-mediata dello Streptococcus pneumoniae si instauri proprio per effetto di questa competizione.
A condizionare la variabilità del microbiota nasale contribuiscono anche alcuni fattori propri dell’ospite. Tra questi vanno citati i fattori genetici ed alcuni fattori immunitari (vedi la presenza di peptidi antimicrobici).
Disegno dello studio sulle apnee notturne
Ai fini dello studio sono state utilizzate due coorti prospettiche. I soggetti reclutati sono stati sottoposti a polisonnografia (PSG) e a lavaggi nasali. La coorte esplorativa (discovery cohort) era composta da 472 individui che erano rimasti coinvolti nel disastro del World Trade Center del 2001. La coorte di validazione (validation cohort) era formata da 93 pazienti consecutivi che si erano riferiti al Centro del Sonno presso l’Hospital Miguel Servet. A nessun paziente era stata prescritta la respirazione mediante CPAP al momento del reclutamento.
La presenza di una coorte di validazione ha consentito di confermare la forza dell’associazione tra microbiota nasale, infiammazione locale e diagnosi di OSAS tanto da rendere generalizzabili le conclusioni del presente studio.
La severità delle apnee notturne è stata stabilita sulla base dei criteri AASM (American Academy of Sleep Medicine guidelines):
- nessuna diagnosi di OSAS per un Apnea-Hypopnea Index (AHI4) inferiore a 5 eventi all’ora;
- diagnosi di apnea lieve con un AHI4 pari a 5-14 eventi per ora;
- diagnosi di apnea moderata con un AHI4 pari 15-29 eventi per ora;
- diagnosi di apnea severa con un AHI4 pari o superiore a 30 eventi per ora.
Tra i soggetti affetti da OSAS un sottogruppo (formato da un paziente con diagnosi di apnea lieve, 4 con apnea moderata e 17 con apnea severa) è stato trattato con la CPAP per un periodo di tre mesi.
I soggetti delle due coorti sono stati sottoposti a lavaggi nasali al momento del reclutamento e di nuovo a tre mesi di distanza. Mentre una parte del liquido ottenuto dal lavaggio nasale è stato utilizzato per l’analisi del microbiota, la rimanente aliquota è stata centrifugata a 500 giri per 10 minuti a 4 °C. Il surnatante cell-free è stato conservato a – 80 °C per poter poi essere utilizzato ai fini dello studio delle citochine pro-infiammatorie. In un momento successivo sono state dosate, mediante test ELISA ad alta sensibilità, l’IL-8 e l’IL-6 ed i valori sono stati espressi in pg/ml.
Lo studio quali-quantitativo del microbiota nasale è stato effettuato attraverso l’analisi della regione 16S rRNA utilizzando l’open source pipeline QIIME (Quantitative Insights into Microbial Ecology version 1.9.1). Oltre a fornire la struttura dell’ecosistema nasale a diversi livelli filogenetici (dal Phylum fino al genere), la pipeline QIIME permette di calcolare la diversità inter-individuale (alpha-diversità) e la diversità intra-individuale (beta-diversità) dell’ecosistema.
Studio del microbiota
Al fine di comprendere meglio quanto emerge dai risultati del presente studio è utile chiarire alcuni concetti.
- Per alpha-diversità (α-diversity) di una popolazione microbica si intende la diversità che tiene conto del numero di specie in un’area piccola più o meno uniforme. In altri termini l’alpha-diversità indica la ricchezza di specie dell’ecosistema intestinale.
- Per beta-diversità (β-diversity) si intende per contro la diversità che si riscontra da un habitat ad un altro.
- L’indice di diversità di Shannon o Shannon Diversity Index (SDI) è un indicatore di biodiversità (e più precisamente di alpha-diversità) molto diffuso in letteratura. Il suo compito è quello di misurare la diversità in termini di ricchezza. Presenta una moderata abilità discriminante e risente delle dimensioni del campione. Maggiore è il suo valore e maggiore è il grado di diversità.
- L’UniFrac valuta la beta-diversità arrivando a descrivere il grado di similarità tra due distinti campioni.
- L’LEfSe (Linear discriminant analysis Effect Size) è un indice in grado di determinare le differenze tassonomiche multiple tra diversi campioni messi a confronto.
Risultati
Descrizione della coorte esplorativa e della coorte di validazione
Nella coorte esplorativa la prevalenza dell’OSAS era del 65,8% (304 soggetti/472). Nel 9,5% dei casi è stata posta diagnosi di apnea severa. Si trattava più spesso di maschi, con un più alto Indice di Massa Corporea (BMI, Body Mass Index) e di età superiore alla media. La prevalenza dell’OSAS era ad ogni modo più alta nella coorte di validazione (68/93, 73,1%, 45 con diagnosi di OSAS severa) come era razionale attendersi dal momento che questi soggetti avevano richiesto una consulenza presso una clinica che tratta i disturbi del sonno.
La composizione del microbiota nei pazienti con OSAS
La carica batterica complessiva del liquido proveniente dai lavaggi nasali è stata valutata mediante PCR quantitativa (qPCR) del gene 16S rRNA. Non sono state notate differenze tra soggetti sani e soggetti con diagnosi di OSAS di vario grado. Analizzando le differenze tra il microbiota dei soggetti sani e quello dei soggetti con diagnosi di OSAS è stato possibile verificare che in caso di apnea severa aumentava l’alpha-diversità (incremento dell’indice di diversità di Shannon). Anche l’analisi della beta-diversità basata sulla distanza pesata UniFrac ha dimostrato differenze significative tra i gruppi con diagnosi di OSAS di vario grado.
Differenze tassonomiche tra i gruppi con diagnosi di OSAS di vario grado
Grazie all’applicazione dell’indice LEfSe è stato possibile stabilire che nei soggetti con diagnosi di apnea severa provenienti dalla coorte esplorativa il microbiota nasale si era arricchito dei generi normalmente presenti a livello della cavità orale: Streptococcus, Veillonella, Granulicatella e Fusobacterium. Stesso discorso vale anche per i campioni provenienti dalla coorte di validazione. Anche in questo caso nei soggetti con sindrome di apnea severa prevalevano i commensali del cavo orale (Streptococcus, Prevotella, Pseudomonas ed Haemophilus). Grazie all’analisi di regressione lineare multipla è stato possibile verificare che più alto è il grado di severità delle apnee e maggiore è la probabilità di andare incontro ad una sovracrescita dei generi Streptococcus ed Haemophilus indipendentemente dai parametri di età, BMI e sesso e questo sia nella coorte esplorativa che in quella di validazione.
La presenza dei commensali orali nel lavaggio nasale dei soggetti con apnea severa potrebbe essere dovuta alle ostruzioni ricorrenti che hanno luogo durante il riposo notturno e al reflusso delle secrezioni oro-faringee che nei soggetti sani vengono normalmente deglutite. Vi potrebbe essere, inoltre, la presenza di biofilm in cavità sinusale e nasale. Con il termine di biofilm si fa riferimento ad un’aggregazione complessa di microrganismi in grado di sintetizzare una matrice adesiva e protettiva. È all’interno di questa matrice che proliferano i batteri anaerobi facoltativi presenti nel gruppo con diagnosi di apnea severa. È noto poi che l’ascensore muco-ciliare è significativamente alterato nei pazienti con diagnosi di apnea severa e questa anomalia può contribuire a determinare le alterazioni a carico del microbiota nasale.
I marker dell’infiammazione ed il microbiota nasale
L’assetto disbiotico del microbiota nasale potrebbe in qualche modo essere responsabile dell’infiammazione a carico della mucosa. In caso di OSAS si assiste ad un’aumentata liberazione di ossido nitrico, a fenomeni di perossidazione lipidica, all’attivazione dell’NF-κB e ad un’aumentata concentrazione di neutrofili nel lavaggio nasale. L’infiammazione distrettuale si associa ad edema sub-epiteliale, uno degli aspetti istologici della Sindrome delle Apnee Ostruttive del Sonno. In questa successione di eventi è facile riconoscere un circolo vizioso in cui alla colonizzazione segue l’ostruzione delle vie aeree superiori e a questa fa seguito il reflusso ed il peggioramento dell’infiammazione. Un fenomeno tanto importante non può non avere effetti sistemici. Così ad esempio l’ipossia intermittente e l’ipercapnia tipici dell’OSAS, contribuendo ad aumentare i livelli di ossido di trimetilammina (TMAO), possono aggravare l’aterosclerosi.
Al fine di approfondire la relazione esistente tra microbiota nasale ed infiammazione sono stati dosati i marker pro-infiammatori nei lavaggi nasali di entrambe le coorti. Dopo aver creato dei sottogruppi in base ai livelli dei marker dell’infiammazione (alti o bassi) è stato possibile stabilire se vi erano relazioni con il microbiota.
- Alpha e beta-diversità e citochine
- Nella coorte esplorativa i livelli di IL-8 e di IL-6 erano più alti tra i soggetti con diagnosi di OSAS rispetto ai sani. I livelli di IL-8, inoltre, correlavano con la concentrazione dei neutrofili. Non si registravano differenze nell’alpha-diversità (SDI) in relazione ai livelli di neutrofili, di IL-6 o di IL-8 mentre variava la beta-diversità studiata mediante l’applicazione dell’UniFrac.
- Nella coorte di validazione i livelli di linfociti e di IL-8 erano più alti tra i soggetti con diagnosi di OSAS. Era possibile, come nella coorte esplorativa, stabilire una correlazione tra il conteggio dei linfociti e i livelli di IL-8. I soggetti con un’alta percentuale di linfociti avevano una più alta alpha-diversità (maggior SDI). Differenze significative sono state notate anche nella beta-diversità di soggetti con percentuale di linfociti alta o bassa. Al contrario l’alpha e la beta-diversità non variavano in relazione ai livelli di IL-6.
- Citochine, neutrofili e composizione del microbiota nasale
-
- Sulla base dell’LEfSe è stato possibile stabilire che nella coorte esplorativa il microbiota nasale dei soggetti con alto numero di neutrofili presentava una prevalenza dei generi Staphylococcus, Lactococcus e Planococcaceae. Alti livelli di IL-8 si associavano ad un’abbondanza relativa di Staphylococcus, Veillonella e Planococcaceae mentre un incremento dell’IL-6 era legato alla prevalenza del genere Moraxella.
- Nella coorte di validazione l’analisi dell’LEfSE documentava una diversa composizione del microbiota tra gruppi con conta linfocitaria alta e bassa e con livelli di IL-8 alti e bassi. I campioni con elevato numero di linfociti presentavano una prevalenza dei generi Streptococcus, Rothia ed Enterococcus. Nei campioni con alti livelli di IL-8 si notava una preponderanza dei generi Streptococcus, Prevotella e Rothia mentre l’alta concentrazione di IL-6 si associava ad una prevalenza di Brochothrix.
Effetti del trattamento con la CPAP sul microbiota nasale
Nel sottogruppo sottoposto a terapia con la CPAP l’analisi del microbiota non ha mostrato differenze statisticamente significative in relazione all’alpha-diversità e alla beta-diversità. È possibile ipotizzare che 3 mesi di trattamento non siano in grado di influenzare il microbiota nasale. Pur contrastando l’ostruzione meccanica, la CPAP non ha alcun effetto sulla modulazione dell’infiammazione a carico della mucosa nasale. Si ipotizza, al contrario, che possa rappresentare un acceleratore del processo infiammatorio. La pressione dell’aria immessa a forza a livello delle via aeree superiori stressa la mucosa nasale (agisce come un second hit) perpetuando l’infiammazione e le alterazioni a carico del microbiota nasale.
Conclusioni
Il presente studio stabilisce l’esistenza di una relazione tra microbiota nasale, infiammazione mucosale e diagnosi di OSAS. Nel tempo saranno necessari ulteriori approfondimenti. Il tipo di lavaggio nasale eseguito in questo studio da modo di valutare il microbiota proveniente dalla rinofaringe anteriore. Sarebbe interessante indagare il microbiota che alberga nella porzione posteriore della rinofaringe. La mucosa nasale può inoltre ospitare una complessa comunità virale e fungina. Per una visione più completa sarà necessario, dunque, valutare anche il viroma ed il micobioma.
L’utilizzo della CPAP non è stato in grado di influenzare l’alpha e la beta-diversità. È probabile che tre mesi di trattamento non siano di per sé sufficienti. Si può ipotizzare che per assistere ad una rimodulazione del microbiota nasale sia necessaria la completa risoluzione dell’ostruzione a carico delle vie aeree superiori, condizione che non è stato possibile raggiungere.
Sulla base delle evidenze che emergono dal presente studio è ipotizzabile che, associando alla CPAP una terapia specifica in grado di modulare il microbiota nasale, si possa avere un potenziamento dell’effetto terapeutico.
Roberta Martinoli