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Biosensori batterici ingeribili: la nuova frontiera della diagnostica

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Biosensori batterici ingeribili: la nuova frontiera della diagnostica

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Batteri in un microchip: potrebbe essere questa la nuova frontiera della medicina diagnostica. Un dispositivo ingeribile, formato da cellule batteriche vive, ingegnerizzate e abbinate a un circuito elettrico a bassa frequenza, si è dimostrato in grado di trasmettere in modalità wireless la risposta batterica a un determinato marcatore, praticamente in tempo reale e con un elevato livello di precisione.

È quanto realizzato da un gruppo di ricercatori del MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Cambrigde guidati da Mark Mimee.

La scoperta, pubblicata in questi giorni su Science, apre le porte a una branca della medicina diagnostica del tutto nuova e ricca di opportunità.

Negli ultimi decenni si è puntato molto sullo sviluppo di batteri ingegnerizzati in grado di rispondere a stimoli esterni o a specifici marcatori di malattia producendo segnali di risposta monitorabili attraverso opportune apparecchiature.

Il solo utilizzo di questi batteri modificati a scopo diagnostico risultava tuttavia poco efficace oltre che poco maneggevole.

Affianco a questa opzione, molto interesse l’hanno suscitato anche le capsule elettroniche attraverso le quali poter ottenere immagini degli organi interni da una prospettiva del tutto nuova o rilasciare farmaci in situ a velocità e dose controllata.

Di contro, l’ampio dispendio energetico di questi dispositivi ne ha limitato notevolmente l’applicazione su larga scala.

Basandosi dunque su queste due esperienze, i ricercatori americani hanno voluto combinarle insieme per creare un nuovo dispositivo in capsula, detto IMBED (Micro-Bio-Electronic Device), in grado sia di rispondere accuratamente agli stimoli biologici grazie alla componente batterica sia di tracciarli e contestualmente, attraverso un circuito elettrico a bassa energia, di inviare i dati a strumenti tecnologici quali computer o cellulare attraverso un’applicazione Android creata ad hoc.

Inoltre, a protezione del device ottenuto, è stata predisposta una membrana multistrato e semipermeabile che, avvolgendolo, permette il passaggio selettivo solo di certe molecole.

Per testarne la validità, il team si è inizialmente concentrato su situazioni di sanguinamento del tratto gastrointestinale, possibili conseguenze di un ampio spettro di fattori come una grave infiammazione, neoplasie, ulcera peptica, farmaci o ipertensione della vena porta.

Benché attualmente siano disponibili diverse modalità di diagnosi in questo ambito, tra le quali endoscopia o aspirazione del fluido gastrico, possono risultare poco piacevoli in quanto invasive.

Si è dunque pensato di equipaggiare il dispositivo con biosensori per il monitoraggio dell’eme, componente strutturale dei globuli rossi. In caso di sanguinamento infatti, la concentrazione di eme libero sarà maggiore in conseguenza dell’accumulo del lisato eritrocitario.

I ricercatori hanno perciò ingegnerizzato il probiotico Escherichia coli Nissle 1917 rendendolo recettivo nei confronti dell’eme attraverso il trasferimento del biosensore MG1655-V1 esprimente ChuA, trasportatore fisiologico dell’eme, e HrTR, fattore di repressione trascrizionale che ne regola l’espressione.

La risposta del batterio ingegnerizzato alla presenza o meno del target si traduce in un segnale luminoso di intensità variabile a seconda della sua concentrazione, monitorato da un dispositivo fotosensibile.

Grazie a batterie in grado di ottenere dagli acidi gastrici dello stomaco l’energia necessaria per il loro funzionamento è stato possibile ottenere una trasmissione dei dati continuata per 120 minuti.

Microchip per diagnosi di sanguinamento gastrico

Dopo una prima fase del processo di sviluppo nella quale è testato in modelli murini solamente il biosensore per verificarne la capacità di captare l’eme, si è passato a esperimenti su modelli di suino nei quali è stato indotto sanguinamento gastrointestinale e introdotto il dispositivo completo, includendo dunque la componente elettrica, a livello dello stomaco dopo aver somministrato una soluzione neutralizzante di bicarbonato e glucosio con o senza 0.25 ml di sangue.

IMBED ha trasmesso dati via wireless complessivamente per due ore benché la presenza di sangue in ambiente gastrico si sia registrata già dopo 52 minuti. A 120 minuti il segnale risultava 5 volte maggiore rispetto ai modelli riceventi la soluzione di controllo. IMBED ha inoltre dimostrato alti livelli di sensibilità e specificità, pari a 83.3% dopo 60 minuti che si è incrementata al termine del tracciato.

Considerando come i biosensori possano essere modulati per essere sensibili a un gran numero di marcatori diversi, i ricercatori hanno condotto anche test in vitro preliminari con sensori focalizzati rispettivamente su tiosolfato, direttamente collegato ai livelli di infiammazione ad esempio nel morbo di Crohn, e sulla molecola di segnalazione batterica AHL, espressa in presenza di infezioni gastriche.

Attraverso la messa a punto di dispositivi come IMBED, adattati a seconda della finalità diagnostica, sarà possibile dunque evitare al paziente procedure invasive, spesso non necessarie, con la semplice ingestione di una capsula accorciando inoltre i tempi per la determinazione del quadro patologico e favorendo l’ispezione di aree anatomiche altrimenti difficili da raggiungere.

Silvia Radrezza
Laureata in Farmacia presso l’Univ. degli Studi di Ferrara, consegue un Master di 1° livello in Ricerca Clinica all’ Univ. degli Studi di Milano. Borsista all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS dal 2017 al 2018, è ora post-doc presso Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics a Dresda (Germania).

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