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Deinococcus radiodurans, il batterio che (forse) viene da Marte

Deinococcus radiodurans è il nuovo protagonista della rubrica “Le interviste impossibili di Microbioma.it”, una serie di dialoghi con batteri, probiotici, prebiotici & Co.
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Deinococcus radiodurans, il batterio che (forse) viene da Marte

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In un ipotetico racconto distopico che descrivesse una Terra devastata da radiazioni ionizzanti di potenza elevata, sul nostro pianeta sopravviverebbero ben poche forme di vita. Tra queste ci sarebbe sicuramente il Deinococcus radiodurans, misterioso archeobatterio in grado di resistere in condizioni estreme di temperatura, disidratazione, vuoto o acidità, che soprattutto risulta mille volte più resistente alle radiazioni dell’uomo. 

Queste straordinarie e molteplici capacità di adattamento – attribuibili alla prontezza con cui ripristina la struttura funzionale dei propri cromosomi – lo posizionano tra i batteri poliestremofili più interessanti e gli hanno fatto conquistare anche una citazione nel Guinness dei primati come la “forma di vita più resistente alle radiazioni”. 

Ma se quest’ultimo aspetto rappresenta tutt’al più una curiosità si può aggiungere che il curriculum del D. radiodurans può contare su una sbalorditiva performance durante una missione nello spazio: roba – per essere chiari – che potrebbe rappresentare una chiave di volta per il grande salto verso Marte. Sentiamo che cosa ci racconta di sé il diretto interessato.

Iniziamo dal suo nome, che in italiano suona come “terrificante cocco resistente alle radiazioni”, roba da film fanta-horror degli anni Cinquanta…

«Devo ammettere che questa interpretazione non mi entusiasma. È vero che δεινός, dal greco, significa tremendo o terrificante, ma significa anche strano, singolare, straordinario. E come intuibile è proprio questa la versione che preferisco. Tra l’altro, per le mie caratteristiche sono stato anche soprannominanto “Conan il batterio”. A proposito di fiction, il racconto di fantascienza “The Washer at the Ford”, pubblicato da Michael F. Flynn nel 1989 e compreso nella raccolta The Nanotech Chronicles (1991), descrive una sorta di “vaccinazione contro le radiazioni” per i viaggiatori nello spazio che si ispira proprio a me, anche se si fa riferimento al mio vecchio nome, Micrococcus radiodurans. Tra gli addetti ai lavori, invece, sono noto con il diminutivo Dra. Comunque sono stato scoperto proprio negli anni Cinquanta».

La sua scoperta è avvenuta in circostanze piuttosto particolari…

«Sì, per certi aspetti si può parlare di un caso di serendipity. Nel 1956, all’Oregon Agricoltural Experiment Station di Corvallis, il gruppo di Arthur W. Anderson stava infatti valutando la possibilità di sterilizzare il cibo in scatola sottoponendolo a dosi elevate di radiazioni gamma. Una confezione di carne in scatola è stata così esposta a una dose di radiazioni ritenuta sufficiente a eliminare ogni organismo presente, ma tra la sorpresa di tutti io sono sopravvissuto (1). Il mio genoma è stato poi sequenziato nel 1999, mentre la sua analisi dettagliata è arrivata nel 2001 (2)».

Ma che cosa c’è all’origine della sua capacità di resistere anche in condizioni estreme?

«Prima di tutto c’è il mio patrimonio genetico, che dispone di una serie di copie del genoma impilate una sull’altra. Mi consentono di recuperare prontamente la sequenza originaria dopo l’esposizione alle radiazioni (2,3). Sono poi in possesso di efficientissimi sistemi antiossidanti che proteggono le componenti cellulari e svolgono una potente azione di scavenging (3). A fronte di tutto questo, un contributo importante viene da specifiche proteine, in particolare la proteina RecA, che sembra sia essenziale per la resistenza alle radiazioni (4). Il risultato è che se una dose di 10 Gy di radiazioni inionizzanti risulta letale per l’essere umano e 60 Gy uccidono tutte le cellule di una coltura di E. coli, io sono capace di resistere a dosi di 5000 Gy e anche se vengo esposto a radiazioni di 15.000 Gy mantengo una certa vitalità».

È vero che è andato e tornato da un viaggio nello spazio?

«In effetti sì. Durante la missione giapponese Tanpopo del 2015 sono riuscito a sopravvivere per più di un anno all’esterno della Stazione Spaziale Internazionale in orbita attorno alla Terra (5). E questo in un ambiente che sembrava incompatibile con la vita per via dell’esposizione a dosi elevate di raggi UV, del vuoto, di fluttuazioni enormi della temperatura e di infinite altre minacce. Questo risultato, del quale vado particolarmente fiero, sottolinea tra l’altro come forme di vita che dispongano di meccanismi efficienti di risposta molecolare possano affrontare viaggi interplanetari di lunga durata. Con questo esperimento, in pratica, ho contribuito ad ampliare le conoscenze sulla possibilità di adattarsi e sopravvivere a lungo nell’ambiente ostile dello spazio. Si tratta – voglio sottolinearlo – di un passo verso la conquista di altri pianeti, per esempio Marte».

Ma in questa sua esperienza da astronauta c’è qualcosa di più…

«Sì, la missione nella quale sono stato coinvolto è stata battezzata Tanpopo in quanto si chiama così in giapponese la pianta comunemente nota come “soffione”. L’obiettivo era infatti di approfondire il concetto di pansmermia, l’ipotesi cioè che le forme di vita più semplici si possano diffondere in tutto l’universo trasportate da asteroidi e comete. Ebbene, tempo fa un team di scienziati russi e americani ha ipotizzato che le mie doti di radioresistenza siano riconducibili proprio a Marte. Secondo questa teoria, infatti, la mia evoluzione sarebbe avvenuta sul Pianeta Rosso e sarei arrivato sulla Terra grazie all’impatto di un meteorite (6). A parte queste ipotetiche origini extraterrestri, oggi è qui che sto rivelando proprietà che rivestono un enorme potenziale applicativo nel campo delle nanotecnologie e per lo sviluppo di antibiotici innovativi. Grazie all’ingegneria genetica, inoltre, sono alla base di un ipotetico “superbug” in grado di decontaminare da solventi e metalli pesanti anche ambienti estremamente radioattivi. Il resto riguarda ancora le spedizioni interplanetarie: potrei infatti essere d’aiuto nella ricerca di eventuali forme di vita su altri pianeti o nell’allestimento di sistemi di protezione contro il potenziale rischio di contaminazione rappresentato da microrganismi alieni, ma posso anche contribuire al trattamento delle acque reflue durante i lunghi spostamenti nello spazio. Un giorno, chissà, in virtù delle mie doti di potentissimo scavenger potrei anche contribuire a rendere abitabile la superficie di altri pianeti. Intanto mi piace pensare di essere capace di vivere ovunque e in nessun luogo allo stesso tempo».

References

  1. A W Anderson, H C Nordan, R F Cain, G Parrish, D Duggan, Studies on a radio-resistant micrococcus. I. Isolation, morphology, cultural characteristics, and resistance to gamma radiation, in Food Technol., vol. 10, n. 1, 1956, pp. 575–577 
  2. Makarova KS, Aravind L, Wolf YI, et al. Genome of the extremely radiation-resistant bacterium Deinococcus radiodurans viewed from the perspective of comparative genomics. Microbiol Mol Biol Rev. 2001;65(1):44-79. doi:10.1128/MMBR.65.1.44-79.2001
  3. Lim S, Jung JH, Blanchard L, de Groot A. Conservation and diversity of radiation and oxidative stress resistance mechanisms in Deinococcus species. FEMS Microbiol Rev. 2019;43(1):19-52. doi:10.1093/femsre/fuy037
  4. Ithurbide S, Coste G, Lisboa J, et al. Natural Transformation in Deinococcus radiodurans: A Genetic Analysis Reveals the Major Roles of DprA, DdrB, RecA, RecF, and RecO Proteins. Front Microbiol. 2020;11:1253. Published 2020 Jun 18. doi:10.3389/fmicb.2020.01253
  5. Ott E, Kawaguchi Y, Kölbl D, et al. Molecular repertoire of Deinococcus radiodurans after 1 year of exposure outside the International Space Station within the Tanpopo mission. Microbiome. 2020;8(1):150. Published 2020 Oct 29. doi:10.1186/s40168-020-00927-5
  6. Pavlov AK, Kalinin VL, Konstantinov AN, Shelegedin VN, Pavlov AA. Was Earth ever infected by martian biota? Clues from radioresistant bacteria. Astrobiology. 2006;6(6):911-918. doi:10.1089/ast.2006.6.911
Silvano Marini
Laureato in medicina e chirurgia, giornalista professionista. Ha lavorato con le principali testate giornalistiche italiane di aggiornamento per medici e farmacisti.

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