È stato dimostrato che il microbiota intestinale influenza la fisiologia cerebrale, tanto che gli scienziati hanno coniato il termine “asse microbiota-intestino-cervello” per descrivere il percorso di comunicazione tra i microrganismi intestinali e il cervello. Tuttavia, non è ancora noto perché e quando sia nata la relazione tra il microbiota intestinale e il cervello.
Eoin Sherwin e i suoi colleghi dell’University College di Cork hanno esaminato gli studi pubblicati in merito all’associazione tra il microbiota intestinale e i comportamenti sociali, analizzando come l’asse microbiota-intestino-cervello influenzi gli aspetti della socialità in tutto il regno animale.
Nel loro studio, pubblicato su Science, gli autori suggeriscono che la comprensione dei fattori che influenzano la socialità in diversi animali potrebbe fornire spunti su patologie come i disturbi dello spettro autistico e la fobia sociale.
Asse microbiota-intestino-cervello e comportamenti sociali
Diversi studi hanno dimostrato che i microrganismi intestinali possono comunicare con il cervello in diversi modi, tra cui la produzione di metaboliti microbici, l’attivazione del nervo vago e la modulazione della risposta immunitaria.
I roditori in cui il microbiota è assente (germ-free) o è stato modificato con gli antibiotici mostrano cambiamenti nel turnover dei neurotrasmettitori, nella neuroinfiammazione, nella neurogenesi e nella morfologia neuronale.
In particolare, nei topi germ-free sono stati osservati comportamenti sociali diversi rispetto ai roditori colonizzati da batteri. Inoltre, negli animali trattati con batteri benefici come Bifidobacterium e Lactobacillus è migliorato il comportamento sociale. Questi risultati suggeriscono che i segnali microbici possono influenzare il neurosviluppo e il funzionamento del cervello.
Interazioni microbiota-ospite nel regno animale
Sebbene studi su animali germ-free e trattati con antibiotici abbiano iniziato a rivelare come i microbi intestinali possano influenzare il comportamento sociale, è noto che la socialità varia tra le specie animali e alcune interazioni potrebbero essersi evolute per facilitare la trasmissione del microbiota. Per esempio, nelle api da miele l’interazione sociale promuove il trasferimento di microbi che conferiscono resistenza ai patogeni, mentre nelle termiti la socialità consente la trasmissione del microbiota per favorire la digestione degli alimenti.
Altri animali, infine, potrebbero essersi evoluti per usare i batteri per comunicare con i membri della loro specie: per esempio, i batteri nelle ghiandole odorose delle iene producono composti volatili che agevolano la coesione sociale tra i membri del branco; il microbiota del pesce zebra ha invece dimostrato di influenzare il comportamento collettivo del banco di pesci.
Il trattamento dei disordini sociali
Nell’uomo, i cambiamenti nel microbiota intestinale sono stati associati a condizioni come il disturbo dello spettro autistico. Diversi studi clinici e preclinici hanno valutato gli interventi basati sul microbiota per il trattamento dei disturbi del comportamento sociale. Negli individui con disturbo dello spettro autistico, l’integrazione della dieta con Bifidobacterium longum e specifici lattobacilli ha per esempio migliorato l’ansia e il comportamento antisociale, nonché la socialità e la comunicazione linguistica.
Nei topi, il trattamento con Bacteroides fragilis e Lactobacillus reuteri ha migliorato comportamenti simili all’ansia e stereotipati. In alcuni studi, i miglioramenti sono stati osservati nei topi maschi, ma non nelle femmine.
Guardando avanti
Poiché i microbi intestinali possono influenzare il comportamento sociale e, a sua volta, la socialità può influire sul microbiota, la comprensione della relazione tra batteri intestinali e comportamento potrebbe avere importanti implicazioni per la biologia umana.
Tuttavia, al momento molti studi si sono basati unicamente su associazioni correlative. Il lavoro che indaga le relazioni causali potrebbe far luce sull’evoluzione della fisiologia e del comportamento del cervello, nonché sui disturbi del comportamento sociale. Inoltre, sono necessari studi clinici più ampi per confermare l’efficacia degli interventi a base di microbiota per i disturbi dello sviluppo neurologico, affermano gli autori.