Stando alle numerose ricerche finora pubblicate, i trilioni di batteri che vivono nell’intestino sono stati associati a una serie di cambiamenti nella funzione cerebrale e nel comportamento. Di recente, uno studio condotto sui topi ha mostrato una correlazione tra i microbi intestinali e specifiche condizioni cerebrali.
Lo studio, pubblicato su Cell, suggerisce in particolare che i microbi intestinali potrebbero contribuire allo sviluppo di specifici sintomi associati a disturbi neurologici. I risultati potrebbero anche aiutare a sviluppare terapie basate sul microbiota per trattare tali condizioni.
«Non avrei mai immaginato che i microbi intestinali potessero modulare il comportamento e la funzione cerebrale», afferma l’autore senior dello studio Mauro Costa-Mattioli del Baylor College of Medicine di Houston. «Pensare che le strategie terapeutiche basate sul microbiota possano essere utilizzate per trattare una disfunzione neurologica è ancora prematuro, ma molto eccitante».
Alcuni studi hanno correlato il microbiota intestinale a diverse condizioni cerebrali, ma i meccanismi attraverso i quali l’ospite e il microbiota regolano comportamenti complessi rimangono poco conosciuti.
Per rispondere a questa domanda, Mauro Costa-Mattioli e i suoi colleghi hanno studiato modelli murini di disturbi dello sviluppo neurologico. Questi animali mostrano deficit sociali e iperattività, nonché alterazioni del loro microbiota intestinale simili a quelli osservati nelle persone con autismo.
Comportamento sociale e microbiota
Risultati precedenti dello stesso team di ricercatori hanno mostrato che i topi il cui intestino era colonizzato solo con una specifica specie di batteri – un microrganismo probiotico chiamato Lactobacillus reuteri – mostravano meno deficit sociali rispetto ai topi di controllo.
Quindi, i ricercatori hanno somministrato L. reuteri a modelli murini di disturbi dello sviluppo neurologico.
Una volta che il microrganismo ha colonizzato l’intestino dei topi ed è diventato parte del microbiota intestinale, i roditori hanno mostrato miglioramenti nel comportamento sociale. Tuttavia, il trattamento non ha alterato l’iperattività degli animali, suggerendo che i cambiamenti nel microbiota intestinale contribuiscono solo al comportamento sociale.
I ricercatori hanno anche scoperto che i topi trattati sono caratterizzati da livelli aumentati di ossitocina – ormone tipicamente associato al piacere e al bonding – nell’area del cervello che controlla la ricompensa.
«Siamo stati in grado di distinguere il contributo del microbioma da quello della mutazione genetica dell’animale sui cambiamenti comportamentali», afferma Sean Dooling, co-autore dello studio.
«Questo risultato dimostra che il microbioma intestinale dovrebbe essere considerato come una variabile importante nello studio della salute e della malattia».
Modulare il microbiota per influenzare il comportamento sociale
Il team di ricercatori ha scoperto che un particolare metabolita microbico, chiamato BH4, è aumentato nell’intestino dei topi trattati con L. reuteri.
Somministrare agli animali il metabolita invece dei batteri ha migliorato il loro comportamento sociale, suggerendo un’altra potenziale strategia per modulare il cervello dall’intestino.
«Conoscere il funzionamento di questi batteri ci permetterà di sfruttare in modo più preciso ed efficace il loro potere per trattare condizioni cerebrali, e non solo», afferma Sean Dooling.
Mauro Costa-Mattioli osserva infine che è ancora difficile modulare i geni umani per trattare le condizioni cerebrali, ma l’alterazione del microbiota intestinale può essere una potenziale alternativa non invasiva.
In futuro verrà quindi avviata una sperimentazione per testare L. reuteri nei bambini con autismo.