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Coloranti alimentari metabolizzati dal microbiota possono scatenare infiammazione intestinale

Specifici coloranti alimentari promuovono, in presenza di un sistema immunitario disregolato, l'infiammazione intestinale a lungo termine.
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Coloranti alimentari metabolizzati dal microbiota possono scatenare infiammazione intestinale

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Stato dell'arte
È noto che fattori sia genetici sia ambientali promuovono disturbi caratterizzati da un’infiammazione a lungo termine del tratto digestivo, noti nel loro complesso come malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD). Diversi studi hanno dimostrato una correlazione tra questa condizione e una molecola immunitaria chiamata interleuchina 23 (IL-23), ma le cause esatte delle IBD sono ancora poco chiare.
Cosa aggiunge questa ricerca
I ricercatori hanno scoperto che nei topi con livelli aumentati di IL-23 due comuni coloranti alimentari possono scatenare la colite, un’infiammazione dell’intestino simile alle IBD. Lo sviluppo della colite sembra dipendere dal microbiota intestinale, che produce un metabolita noto per indurre riacutizzazioni dell’infiammazione intestinale.
Conclusioni
I risultati suggeriscono che alcuni coloranti alimentari potrebbero rappresentare un fattore di rischio per la colite nei topi con un sistema immunitario alterato, ma non è chiaro se i coloranti alimentari possano avere effetti simili nell’uomo.

In questo articolo

Le cause esatte delle malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD, un gruppo di disturbi caratterizzati da un’infiammazione a lungo termine del tratto digestivo, tra cui il morbo di Crohn e la rettocolite ulcerosa) sono ancora poco chiare.

Uno studio condotto di recente sui topi ha ipotizzato che specifici coloranti alimentari possano giocare un ruolo nell’innescare i sintomi della malattia.

Lo studio, pubblicato su Cell Metabolism, suggerisce in particolare che i coloranti alimentari gialli e rossi possano promuovere l’infiammazione intestinale a lungo termine nei topi, anche se solo in quelli con un sistema immunitario disregolato. Se i coloranti alimentari avessero effetti simili nell’uomo, i risultati di questo studio potrebbero aiutare a gestire le IBD e potenzialmente a trattare le persone con queste condizioni.

IBD, tra genetica e ambiente

È noto che fattori sia genetici sia ambientali promuovono le IBD, patologie caratterizzate da ricorrenti riacutizzazioni di sintomi come diarrea, febbre e dolore intestinale.

Diversi studi hanno dimostrato una correlazione tra queste condizioni e una molecola del sistema immunitario chiamata interleuchina 23 (IL-23), ma rimangono poco chiari i fattori ambientali che potrebbero innescare la malattia.

Per cercare di comprendere meglio il fenomeno, un gruppo di ricercatori guidati da Lili Chen e Sergio Lira della Icahn School of Medicine at Mount Sinai, a New York, ha analizzato gli effetti dei coloranti alimentari sull’infiammazione intestinale.

«I coloranti alimentari artificiali sono stati introdotti per la prima volta nella catena alimentare alla fine del XIX secolo; nonostante siano ora molto diffusi in tutto il mondo, non sono stati ancora studiati nel contesto delle IBD», affermano i ricercatori.

Il ruolo dell’interleuchina 23

Innanzitutto, il team di ricercatori ha creato diversi modelli murini che esprimono IL-23 ad alti livelli. Sebbene l’aumento dei livelli di IL-23 possa guidare lo sviluppo delle IBD nell’uomo, i topi con una risposta immunitaria alterata non hanno sviluppato il disturbo.

Al contrario, gli animali hanno sviluppato un’infiammazione intestinale, o colite, solo quando sono stati alimentati con una dieta contenente i coloranti Red 40 o Yellow 6, che si trovano in molti cibi, bevande e medicinali.

I topi di controllo con un sistema immunitario normale che sono stati nutriti con la stessa dieta non hanno invece sviluppato colite.

I roditori con sistema immunitario alterato hanno sviluppato sintomi simili alle IBD anche quando hanno ricevuto soltanto acqua che conteneva i coloranti, senza cibo, mentre i topi con un sistema immunitario normale no sottoposti allo stesso trattamento no.

Fondamentale il microbiota intestinale

Lo sviluppo di colite sembra dipendere in misura significativa dai microbi intestinali commensali, tra cui Bacteroides ovatus e Enterococcus faecalis, che producono un metabolita chiamato sale di sodio 1-amino-naftol-6-solfonato. Questo metabolita è noto per indurre riacutizzazioni dell’infiammazione intestinale.

«I nostri studi rivelano che i coloranti alimentari contribuiscono allo sviluppo della colite in condizioni caratterizzate da un aumento della presenza di IL-23», spiegano i ricercatori.

«Lo sviluppo della malattia in questo contesto richiede batteri commensali, come E. faecalis e B. ovatus, per metabolizzare i coloranti Red 40 o Yellow 6».

Conclusioni

Sebbene siano necessari ulteriori studi per capire se i coloranti alimentari possano causare la colite nell’uomo, i risultati potrebbero avere implicazioni per la salute umana dal momento che IL-23 è stata correlata all’IBD e il consumo di coloranti alimentari è molto diffuso.

«Questi risultati suggeriscono che specifici coloranti alimentari rappresentano fattori di rischio ambientale per lo sviluppo della colite in condizioni in cui l’espressione di IL-23 è di per sé alterata», concludono i ricercatori.

Giorgia Guglielmi
Giorgia Guglielmi è una science writer freelance residente a Basilea, in Svizzera. Ha conseguito il dottorato in Biologia all’European Molecular Biology Laboratory e il Master in Science Writing al MIT.

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