Fonti: Icahn School of Medicine at Mount Sinai, New York e New York University School of Medicine and Hospital for Joint Diseases, New York
Il ruolo del microbioma intestinale nelle patologie infiammatorie e/o autoimmuni è stato a oggi ampiamente esplorato e molti progressi sono stati fatti grazie a una maggiore conoscenza dei meccanismi che stanno alla base di queste interazioni.
Data l’ampia disponibilità di evidenze in materia, Jose C. Clemente e colleghi hanno voluto perciò fare il punto della situazione attraverso una revisione di letteratura da poco pubblicata nel BMJ.
Nello specifico, i ricercatori americani hanno voluto riassumere lo stato dell’arte riguardo l’influenza che dieta, probiotici e prebiotici hanno nei confronti del microbioma e, soprattutto, di come quest’ultimo sia correlato ad una vasta panoramica di malattie infiammatorie sistemiche tra le quali malattie infiammatorie croniche intestinali o IBD, malattie reumatiche infiammatorie croniche autoimmuni e sclerosi multipla. Da ultimo, uno spazio è stato riservato alle nuove tecniche di indagine e diagnosi.
Malattie infiammatorie croniche intestinali
Solitamente questa categoria di patologie la si riconduce a quelle maggiormente diffuse ovvero colite ulcerosa e morbo di Crohn.
Colite
Numerosi studi condotti su modelli murini dimostrano come animali germ-free o in trattamento antibiotico riportano l’assenza di malattia nel primo caso e considerevoli miglioramenti clinici nel secondo.
Bacteroides, Enterobacteriaceae, Porphyromonas, Akkermansia muciniphila, e Clostridium ramosum sono di fatto maggiormente espressi nei modelli con IBD rispetto ai controlli sani e, inoltre, positivamente correlati ad alti livelli di infiammazione. Anche i trial clinici condotti sull’uomo confermano una differenza in termini di biodiversità e prevalenza di certe specie batteriche tra pazienti e soggetti sani. Gli individui con IBD infatti mostrano un minor grado di alpha diversity e un incremento di patobionti quali Escherichia coli, Shigella, Rhodococcus, Stenotrophomonas maltophilia, Prevotellaceae, Clostridium difficile, Klebsiella pneumoniae, Proteus mirabilis, e Helicobacter hepaticus, accompagnato da una riduzione di Firmicutes. Importante è anche il decremento di specie commensali pro-SCFAs inclusi Faecalibacterium prausnitzii, Leuconostocaceae, Odoribacter splanchnius, Phascolarctobacterium, e Roseburia.
Morbo di Crohn
Le evidenze di letteratura evidenziano un’associazione positiva tra insorgenza della patologia con Enterobacteriaceae, Bacteroidales, Clostridiales, Pasteurellaceae, Veillonellaceae, Neisseriaceae e Fusobacteriaceae.
Al contrario, studi condotti su campioni di biopsie di colon e retto hanno mostrato correlazione negativa con Lachnospiracee, Ruminococcaceae, Bacteroides, Faecalibacterium, Roseburia, Blautia, Ruminococcus e Coprococcus.
Tuttavia, un nuovo approccio per la determinazioni delle specie batteriche coinvolte in questo set di patologie punta all’identificazione dei cosiddetti “batteri rivestiti di IgA” basandosi sulla combinazione della tecnica di citometria a flusso e di sequenziamento 16S rRNA e sull’ipotesi che taxa esprimenti alte concentrazioni di immunoglobuline possano favorire il processo infiammatorio. Una loro marcata presenza sarebbe quindi da considerare un allarme per un possibile sviluppo di patologia.
Malattie reumatiche infiammatorie croniche autoimmuni
Artrite reumatoide
Numerosi studi condotti su modelli animali hanno dimostrato come artrite reumatoide e microbioma siano tra loro correlati, dati confermati nell’uomo.
I topi privati dell’antagonista recettoriale interleuchina 1 (IL1rn−/−) hanno infatti mostrato uno sviluppo spontaneo della patologia mediata da linfociti T e dipendente dall’attivazione dei TLR o “toll-like receptor” da parte della flora batterica. Hanno inoltre registrato una ridotta ricchezza e biodiversità soprattutto a causa di un notevole decremento dei generi Ruminococcus e Prevotella. Infine, nei modelli IL1rn−/− germ-free un aggravamento del quadro clinico è stato provocato dalla ricolonizzazione con L. bifidus.
Risultati sovrapponibili sono stati ottenuti anche i modelli murini K/BxN e DBA1.
Gli studi condotti sull’uomo hanno invece dimostrato come i soggetti affetti da artrite reumatoide siano ricchi di Prevotella copri mentre siano carenti di geni per la trascrizione di vitamine e di enzimi per il metabolismo delle purine.
Spondiloartrite
Con “spondiloartrite” si indica un gruppo di malattie del tessuto connettivo che causano un’importante infiammazione articolare esprimendo caratteristiche comuni a uveite, entesiti, artriti assiali scheletriche, coliti o patologie di interessamento cutaneo come ad esempio psoriasi.
Anche in questo caso gli studi condotti su modelli animali sono stati molti e differenziati. Tra questi, i topi HLA-B27, modificati per esprimere la patologia, hanno riportato disbiosi intestinale associata ad un aumento di Paraprevotella e una riduzione di Rikenellaceae.
Inoltre, l’aggravamento della disbiosi in questi modelli sembrerebbe essere età-dipendente con un progressivo impoverimento di Firmicutes, in termini di abbondanza, e un concomitante arricchimento di Proteobacteria e Akkermansia municiphila, rientranti nella categoria di “batteri rivestiti di IgA” descritti precedentemente. Promettenti, seppur preliminari, sono inoltre i risultati nei trattamenti a base di SCFAs.
Studi clinici hanno poi confermato un’alterazione di microbioma nei soggetti con spondiloartrite rispetto ai controlli sani. Nei pazienti si è infatti registrato un aumento di Lachnospiraceae, Ruminococcaceae, Rikenellaceae, Porphyromonadaceae, e Bacteroidaceae, e, al contrario, un decremento di Veillonellaceae e Prevotellaceae. Nelle forme pediatriche di enterite associata ad artrite si è inoltre notata una diminuzione di F. prausnitzii, situazione analoga in presenza di IBD. Nella forma di spondiloartrite psorisiaca invece si è registrata una complessiva riduzione di diversità batterica mediata in particolar modo dalla diminuita espressione di Coprococcus, Akkermansia, Ruminococcus, e Pseudobutyrivibrio.
Lupus eritematoso sistemico
Pur rientrando in questa classe di patologie è di fatto un sottoinsieme eterogeneo di più condizioni infiammatorie croniche con target ad ampio spettro e dalla grande variabilità iter-individuale basate complessivamente sulla produzione sregolata di autoanticorpi. Studi condotti su modelli MRL/lpr hanno evidenziato un arricchimento di Lachnospiraceae, Ruminococcaceae, e Rikenellaceae, con parallela riduzione di Lactobacillaceae se confrontati con i topi controlli MRL/Mp. Interessante notare come il supplemento di acido retinoico abbia favorito il ristabilirsi di Lactobacillaceae.
Le ricerche su pazienti affetti da questa particolare e complessa condizione clinica sono ad oggi ancora limitati sebbene, dalle poche evidenze disponibili, si è visto come il rapporto Firmicutes/Bacteroidetes sia alterato se confrontato con i soggetti sani.
Sclerosi Multipla
Molteplici esperimenti detti EAE (experimental autoimmune encephalomyelitis), condotti su modelli animali, hanno ad oggi confermato l’implicazione del microbioma nello sviluppo e decorso di sclerosi multipla. Nell’uomo, attraverso il sequenziamento 16S rRNA, è stato possibile identificare una ridotta abbondanza di Bacteroides, Faecalibacterium, Prevotella, Butyricimonas e Collinsella con un simultaneo arricchimento di Bifidobaterium, Streptococcus, Methanobrevibacter e Akkermansia muciniphila. Un decremento lo si è riscontrato inoltre nella presenza del dipeptide “lipide 654”, agonista del recettore TLR2, prodotto da Bacteroides il cui ruolo all’interno della patologia rimane tuttavia ancora da chiarire.
Da ultimo, nei soggetti con sclerosi multipla si osserva una minore espressione di specie batteriche implicate nel metabolismo degli acidi grassi a catena corta comportando dunque una carenza nel controllo dell’eccessiva risposta immunitaria, base fisiopatologica della malattia.
Dieta, probiotici e prebiotici: quali evidenze per le malattie infiammatorie sistemiche?
Un numero sempre più crescente di studi tratta di come le nostre abitudini alimentari, soprattutto in tenera età, influiscano sullo sviluppo e sulla composizione del microbioma intestinale e di come questo a sua volta si rifletta nelle nostre generali condizioni di salute. Nonostante questo galoppante interesse, i meccanismi di collegamento tra cibo, microbioma e funzionalità dell’ospite rimangono ancora controversi e numerose sono ad oggi le incertezze, anche nei quadri clinici precedentemente descritti.
La non concordanza di tutti i risultati potrebbe essere causata, secondo gli autori di questa revisione, dalla difficile comparazione tra gli studi considerati date le differenze di disegno, campione, outcome e tecniche statistiche. Complessivamente comunque la dieta mediterranea sembrerebbe essere di fatto la più raccomandata.
Anche nel campo dei probiotici e prebiotici, le evidenze che dimostrano un loro reale beneficio nelle malattie infiammatorie sistemiche oggetto di questo lavoro rimangono incerte.
Nuovi trattamenti per IBD e malattie autoimmuni
Tra questi, vengono descritti il trapianto di microbiota fecale, la modulazione dell’ecosistema intestinale attraverso l’inoculazione di organismi batterici vivi e lo sfruttamento di metaboliti derivati da batteri quali polisaccaridi, SCFAs e proteine strutturali per la messa a punto di terapie personalizzate. Queste ultime due metodologie rimangono tuttavia ancora ristrette all’area pre-clinica mentre il trapianto di microbiota fecale, dopo aver riscontrato notevoli benefici nel trattamento dell’infezione da Clostridium difficile, è sempre più testato nel trattamento di altre patologie, soprattutto IBD, in attesa di risultati definitivi.
In conclusione, molto è stato fatto ma ancora tanto è da scoprire sul rapporto tra microbioma, IBD e malattie infiammatorie sistemiche. Attraverso nuove tecniche di analisi e studi ben condotti sarà quindi importante andare ad approfondire ulteriormente i meccanismi di base al fine di poter intervenire efficacemente nella prevenzione e nel trattamento anche di queste malattie.