I virus respiratori, come quello dell’influenza e il virus SARS-CoV-2, possono provocare malattie gravi. Tuttavia, gli esiti di queste infezioni variano ampiamente da individuo a individuo. Una nuova ricerca mostra che un gruppo di batteri intestinali protegge i topi dai virus respiratori, tra cui quello dell’influenza.
I risultati, pubblicati su Cell Host & Microbe, rivelano che la gravità delle infezioni respiratorie dipende almeno in parte da una complessa interazione tra il microbiota intestinale e il sistema immunitario. Se confermati nell’uomo, i risultati potrebbero aiutare a valutare nei pazienti con infezioni respiratorie il rischio di sviluppare forme gravi della malattia.
Alla ricerca di firme microbiche
«È sorprendente che la presenza di un’unica specie batterica commensale comunemente presente nell’intestino, tra le migliaia di diverse specie microbiche che lo popolano, abbia avuto un impatto così forte nei modelli murini di infezione da virus respiratorio», afferma il co-autore senior dello studio Richard Plemper della Georgia State University.
Dal momento che i batteri intestinali sono implicati in molte malattie infiammatorie e nella risposta immunitaria associata, precedenti studi avevano ipotizzato che i microbi intestinali possano essere in parte responsabili della variabilità osservata negli esiti clinici dei pazienti con infezioni respiratorie.
Inoltre, era stato già dimostrato che i topi selvatici hanno un sistema immunitario attivato che li rende relativamente resistenti all’infezione da virus dell’influenza A.
Richard Plemper e i suoi colleghi hanno quindi deciso di valutare se, e come, specifiche specie microbiche possono avere un impatto sugli esiti delle infezioni virali respiratorie nei topi.
Differenze nel microbiota
I ricercatori hanno confrontato la predisposizione all’infezione da virus dell’influenza A in due gruppi di topi con specifiche differenze nella composizione del microbiota intestinale: i topi SPF, privi di determinati agenti patogeni, e i topi “excluded flora”, che mancano di un pannello di microbi commensali in grado di modulare la malattia. I sintomi dell’infezione e la carica virale nei polmoni sono stati misurati diversi giorni dopo l’infezione con il virus dell’influenza A.
I topi SPF hanno mostrato cariche virali ridotte rispetto ai topi “excluded flora”. Questi risultati suggeriscono che uno o più microbi assenti nei topi “excluded flora” potrebbero proteggere dal virus dell’influenza.
Tra i microbi noti per essere assenti in questi topi, i batteri filamentosi segmentati (SFB), un gruppo di batteri intestinali, si sono distinti come potenziali modulatori della suscettibilità alle infezioni influenzali.
«Anche se non sono gli unici mediatori, i batteri filamentosi segmentati contribuiscono in modo determinante alla resistenza spontanea dei topi al rotavirus, un agente patogeno intestinale che si è manifestato in alcune colonie di topi», affermano i ricercatori.
Attivazione immunitaria
I ricercatori hanno osservato che questi batteri proteggono anche dal virus respiratorio sinciziale e dal virus SARS-CoV-2. Dai dati ottenuti è emerso anche che questa protezione richiede la presenza dei macrofagi alveolari nei polmoni.
Nei topi privi di batteri filamentosi segmentati, i macrofagi alveolari si sono rapidamente ridotti con il progredire dell’infezione.
In presenza di questi batteri, i macrofagi alveolari sono risultati invece in grado di prevenire l’infiammazione e la riduzione dei loro livelli innescati dall’influenza. Ulteriori esperimenti hanno dimostrato che queste cellule immunitarie disattivano il virus dell’influenza attivando il sistema del complemento.
«Riteniamo altamente improbabile che i batteri filamentosi segmentati siano gli unici microbi intestinali in grado di influenzare il fenotipo dei macrofagi alveolari e, di conseguenza, la predisposizione alle infezioni da virus respiratori», afferma il co-autore senior dello studio Andrew Gewirtz.
«Piuttosto, ipotizziamo che la composizione del microbiota intestinale influenzi in maniera più ampia questa predisposizione. Infatti, la capacità del microbiota di influire sull’attività dei macrofagi alveolari presenti in condizioni fisiologiche sembra in grado non solo di influenzare la gravità dell’infezione respiratoria in fase acuta, ma potrebbe anche rappresentare un fattore importante per determinare gli esiti a lungo termine».