IBS e dispepsia: disbiosi post infettive sul banco degli imputati

Il 14.5% di soggetti con gastroenterite acuta ha sviluppato sindrome dell’intestino irritabile, il 12.7% dispepsia. Tra i ceppi più coinvolti, Proteobacteria e relativi sottogruppi.
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Stato dell'arte

In seguito a una gastroenterite acuta possono verificarsi disordini nell’interazione tra intestino-microbioma-cervello. L’impatto di determinati taxa batterici nel rischio di complicazioni rimane non chiaro.

Cosa aggiunge questa ricerca

Gli autori hanno voluto fare il punto sulle evidenze con questa revisione sistematica e metanalisi al fine di determinare la prevalenza di sindrome dell’intestino irritabile post-infezione o dispepsia funzionale in seguito a gastroenterite acuta.

Conclusioni

Il 14.5% di soggetti con gastroenterite acuta ha sviluppato sindrome dell’intestino irritabile, il 12.7% dispepsia. Tra i ceppi più coinvolti, Proteobacteria e relativi sottogruppi.

In questo articolo

Dopo una gastroenterite acuta, complicazioni quali sindrome dell’intestino irritabile (IBS) o dispepsia sono abbastanza comuni. Riguardano infatti il 14.5% e 12.7% rispettivamente delle casistiche. Rilevante anche la loro durata nel tempo con 52.3% ancora interessati da IBS 1-4 anni dopo, il 38.9% dopo più di 5 anni.

È quanto conclude la revisione basata su 47 studi e 28170 individui condotta da Serena Porcari e colleghi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, di recente pubblicata su Gut.

Infezioni intestinali e microbiota intestinale

È ormai noto come gastroenteriti acute siano un fattore di rischio per lo sviluppo di disordini dell’interazione intestino-cervello. Diversi studi hanno in passato registrato correlazioni strette tra questo tipo di infezioni, alterazioni del microbiota intestinale e disturbi funzionali. Tra le più frequenti in questo panorama troviamo sindrome dell’intestino irritabile (IBS) o dispepsia (FD). Quali siano i taxa più coinvolti in queste progressioni rimane tuttavia poco chiaro. 

Vediamo dunque più nel dettaglio quanto emerso dall’estesa raccolta di evidenze condotta in questa revisione di letteratura partendo dalla prevalenza di IBS.

Come anticipato, il 14.5% ha sviluppato IBS interessando soprattutto la popolazione del Nord America (12 studi, 4921 individui, 18.9% coinvolti), seguiti da europei (19 studi, 6453 individui, 15%). 

L’IBS ha però diverse sfaccettature. La forma con diarrea è infatti risultata la più comune con il 46.1% di soggetti IBS interessati. Segue quella mista (38.5%) e con costipazione (10%). 

«La sindrome dell’intestino irritabile – spiega Giovanni Cammarota, Ordinario di malattie dell’apparato digerente Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore della UOC di Gastroenterologia, Fondazione Policlinico Gemelli – un disturbo che coinvolge l’asse intestino-cervello, è caratterizzata da dolori addominali ad insorgenza ‘capricciosa’, gonfiore, stipsi alternata a diarrea, affligge secondo le stime della SIGE (Società Italiana di Gastroenterologia) il 20-40% della popolazione italiana, con una predilezione per le donne e la fascia d’età tra i 20 e i 50 anni». 

Gastroenteriti virali e batteriche 

A influenzarne la frequenza anche il tipo di agente infettivo. Il 10.7% infatti ha avuto un’origine virale (13 studi, 3585 soggetti), il 18.3% batterica (20 studi, 7050 soggetti) e il 30.1% da parassiti (2 studi, 779 soggetti). 

In termini di fattori di rischio, soggetti con storia di gastroenterite acuta hanno mostrato 4.8 più probabilità di incorrere in IBS batterica, 6.2 per quella virale e 5.5 da parassiti. Concentrandosi poi sull’eziologia batterica, si è visto come il 17.2% di IBS fosse dopo infezione da Proteobacteria (18 studi) ed Enterobacteriaceae (16.2%, 10 studi). 

«La presenza di disturbi d’ansia, prima dell’episodio di gastroenterite – ricorda la Serena Porcari, contrattista presso la UOC di Gastroenterologia di Fondazione Policlinico Gemelli e primo autore dello studio –  triplica inoltre il rischio di sviluppare IBS. Per quanto riguarda gli agenti infettivi, il nostro studio ha evidenziato che la maggior comparsa di IBS si ha dopo una gastroenterite acuta da Campylobacter (21%); le probabilità di sviluppare IBS sono 5 volte maggiori dopo infezione da Proteobacteria o da SARS CoV-2 e 4 volte maggiori dopo infezioni da Enterobacteriaceae».

«Dopo aver fatto una ricognizione accurata di tutta la letteratura scientifica riguardante la comparsa di IBS dopo un episodio di gastroenterite – afferma Gianluca Ianiro, docente di gastroenterologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, gastroenterologo di Fondazione Policlinico Gemelli e corresponding author – abbiamo evidenziato che i sintomi di IBS compaiono in una persona su 7 dopo un episodio di infezione gastrointestinale. L’analisi dei dati ha consentito anche di appurare che dopo questo ‘innesco’, i disturbi permangono per 6-11 mesi in almeno la metà delle persone colpite da una gastroenterite acuta; ma altri studi suggeriscono che la durata dell’IBS potrebbe protrarsi fino a oltre 5 anni».

Dispepsia funzionale e disbiosi intestinale

Leggermente meno comune sembrerebbe essere la dispepsia funzionale (12.7%). Ancora una volta, ad esserne maggiormente colpiti i nord-americani (1191 individui, 26.1%). Tra le tipologie più diffuse, la sindrome da distress post-prandiale (54.6%) e dolore epigastrico (25.2%). Ad esserne i maggiori responsabili per l’eziologia batterica, Enterobacteriaceae. 

Dopo la diagnosi iniziale, il 49.8% ha presentato IBS dopo 6-11 mesi, il 52.3% a 1-4 anni, il 39.8% dopo 5 anni. Non sufficienti dati sono invece stati raccolti per assegnare la prevalenza di dispepsia. 

Conclusioni

«La fisiopatologia dell’IBS – conclude Antonio Gasbarrini, coautore dello studio e preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ordinario di Medicina Interna e direttore della UOC di Medicina Interna e Gastroenterologia di Fondazione Policlinico Gemelli  – non è ancora sufficientemente nota e nell’immaginario collettivo (ma anche nell’opinione di molti medici), quelli che vanno sotto il nome di IBS sono disturbi con un’importante componente psicologica e non una malattia di tipo ‘organico’; questo comporta il rischio di sottovalutare e sotto-trattare i pazienti, abbandonandoli ai loro disturbi. Visto che la gastroenterite è un’evenienza molto comune, i risultati del nostro studio potrebbero essere rilevanti in un’ottica di salute pubblica e portare i medici a seguire con più attenzione l’evoluzione di questi disturbi in un paziente che abbia presentato un episodio di gastroenterite acuta”

Silvia Radrezza
Laureata in Farmacia presso l’Univ. degli Studi di Ferrara, consegue un Master di 1° livello in Ricerca Clinica all’ Univ. degli Studi di Milano. Borsista all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS dal 2017 al 2018, è ora post-doc presso Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics a Dresda (Germania).

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