In gruppo di ricercatori dell’Istituto Europeo di Oncologia, coordinato da Federica Facciotti, ha pubblicato su Nature Communications uno studio che dimostra come una terapia basata su trapianto di microbiota fecale (FMT) riduce l’infiammazione del colon attivando pathway del sistema immunitario intestinale.
La mucosa intestinale ospita più di 1014 batteri commensali, i quali, in cambio di asilo, offrono le loro attività metaboliche prendendo parte, così, al sistema immunitario dell’ospite. L’omeostasi intestinale è garantita dal confinamento di questi batteri commensali nel solo lume intestinale, arginando l’eventuale insediamento di batteri patogeni. Eventi di disbiosi intestinale sono spesso associati a diverse patologie gastrointestinali, come per esempio l’infezione da C. difficile (CDI), patologie infiammatorie dell’intestino (IBD, morbo di Chron – CD- o coliti ulcerose – UC) e cancro del colon retto (CRC).
L’applicazione in clinica del trapianto di microbiota fecale (FMT) come approccio terapeutico per ripristinare una normobiosi risulta ancora un po’ problematica in quanto i suoi meccanismi sono tuttora sconosciuti.
Recenti studi clinici randomizzati, comunque, supportano la possibilità di utilizzare l’approccio del FMT in pazienti UC.
Di recente, l’insorgenza di IBD si è valutata come una reazione smodata al microbiota intestinale dei tessuti linfoidi associati alla mucosa enterica. La comunità batterica di pazienti IBD presenta una ridotta biodiversità sia nella mucosa che nelle feci: batteri pro-infiammatori come Enterobacteriaceae e Fusobacteriaceae risultano in aumento, mentre specie anti-infiammatorie come i Firmicuti diminuiscono. Quest’osservazione, unita a quella che il trapianto di un microbiota disbiotico in un topo germ-free (ovvero privo al suo interno di qualsiasi microrganismo) provoca un’infiammazione sperimentale, suggerisce che la disbiosi può essere solo occasionalmente collegata alla IBD.
A tal scopo in questo studio sono stati utilizzati topi reporter CXCR6EGFP, in cui il gruppo della Facciotti ha dapprima indotto colite e poi ha eseguito un FMT. Per constatare i benefici del trattamento terapeutico impiegato, gli autori hanno utilizzato i seguenti parametri: la perdita di peso, la lunghezza del colon, l’espressione della citochina pro-infiammatoria Il1β, e la produzione di sostanze anti-infiammatorie (peptidi antimicrobici e mucine). Inoltre, per valutare l’attivazione di diversi pathway anti-infiammatori, sono stati monitorati cambiamenti funzionali in cellule T CD4+, iNKT e αβ-T.
Il trapianto di microbiota riduce l’infiammazione in coliti indotte da DSS
Topi CXCR6EGFP/+, sensibili al Destrano Sodio Solfato (DSS, una sostanza che scatena la colite ulcerosa), sono stati utilizzati per monitorare i livelli intestinali di cellule T CD4+, incluse anche le iNKT, durante due diverse condizioni sperimentali, omeostasi e infiammazione. Dopo aver provocato colite acuta, il microbiota derivante dal muco intestinale e dalle feci di topi normobiotici è stato somministrato oralmente, in acqua, nei topi malati per tre giorni consecutivi. Al momento del sacrificio, topi curati con FMT mostrano una diminuzione del peso e un’aumentata lunghezza del colon, una diminuzione dell’espressione di Il1β, e un aumento di Camp e S100A8 e Muc1-4: ciò significa, quindi, uno stato d’infiammazione ridotto durante una colite acuta sperimentale. Quindi, la terapia a base di FMT diminuisce lo stato infiammatorio intestinale durante una colite acuta.
Così si modifica il microbioma intestinale
Gli autori hanno valutato eventuali variazioni nella composizione della flora batterica di due set sperimentali di topi, quelli a cui è stato somministrato il solo DSS e quelli a cui è stato dato DSS+FMT. L’RNA ribosomiale 16S, estratto dai campioni di feci provenienti da questi due set di topi, è stato sequenziato. Dai risultati si evidenzia che il FMT non influenza la composizione del microbioma, almeno macroscopicamente, forse a causa della relativa abbondanza di specie “top 10” presenti in entrambi i set di topi analizzati. Tuttavia, da un’analisi filogenetica più dettagliata si evince che i topi DSS+FMT mostrano una diminuita presenza in Firmicutes e Clostridiaceae e un’aumentata presenza di cosiddetti batteri probiotici come Lactobacillaceae e Streptococcus sp. Inoltre, un’analisi metabolomica rivela anche una normalizzazione dei livelli di zuccheri complessi come lattosio e maltosio, la cui comparsa nelle feci rappresenta una possibile conseguenza o di una digestione compromessa o di un assorbimento intestinale difettoso. Quindi, la terapia a base di FMT migliora lo stato infiammatorio intestinale durante coliti acute grazie a un rimescolamento della comunità microbiotica.
L’efficacia del trapianto di microbiota dipende dalla presenza di comunità normobiotiche
Per dimostrare che l’effetto del FMT, in topi colitici, dipende dalla diversa composizione del microbiota del donatore, gli autori hanno eseguito, prima del trapianto, un’analisi metagenomica su due diversi set di campioni di feci, donatori normobiotici e disbiotici. Come atteso, i topi che hanno ricevuto un FMT da donatori normobiotici mostrano miglioramenti dello stato infiammatorio intestinale a differenza di quelli che hanno ricevuto il trapianto fecale da donatori disbiotici. Questo effetto migliorativo è dovuto agli SCFA, zuccheri prodotti da batteri “proteggenti”, e anche dalla presenza dei metaboliti di radicali liberi e di metalli.
Inoltre, il gruppo di Facciotti ha dimostrato che differenze di età, genere, genotipo, dieta e fattori ambientali dei topi donatori non influenzano, in realtà, la capacità di migliorare lo stato infiammatorio intestinale dei topi che ricevono il FMT. La cosa importante affinchè un microbiota abbia la capacità di modulare stati intestinali infiammatori è che sia costituito da un “core” microbico fatto da Bacteroides S24-7, Lachnospiraceae, Lactobacillaceae, Ruminococcaceae, Rikenellaceae, Bifidobacteriaceae e Erysipelotrichaceae.
Trapianto e cellule immunitarie nel colon
Già in condizioni fisiologiche, la presenza di specifici ceppi batterici nell’intestino stimola il differenziamento delle cellule T CD4+, provocando, quindi, la regolazione di determinati pathway immunitari. In questo lavoro gli autori hanno deciso di investigare quali sono i pathway attivati selettivamente dopo trapianto di microbiota. Topi DSS+FMT mostrano un aumento di cellule iNKT che però sembra essere più che altro una conseguenza della diminuzione di T CD4+. Inoltre, mostrano una diminuzione di linfociti ILC2 e ILC3. Anche le cellule APC (Antigen Presenting Cells) risultano diminuite in topi trattati con DSS+FMT. Quindi, la terapia a base di FMT influisce sia sulla frequenza che sul fenotipo della popolazione di cellule immunitarie infiltranti.
La presentazione dell’antigene è necessaria per evitare il controllo delle cellule T CD4+
Per capire se il FMT influenza l’attività di specifiche cellule immunitarie direttamente correlate con la presentazione di antigeni batterici, le feci derivanti da topi controllo, trattati con DSS e sottoposti a FMT sono state utilizzate per la stimolazione in vitro di LMPC, ovvero cellule mononucleari della lamina propria, isolate da topi sani. In vivo, è stato dimostrato che l’esposizione a microbioti sani o FMT-derivati porta alla diminuzione dell’espressione di macrofagi, monociti e dei livelli di MHC-II nelle cellule dendritiche.
Le citochine prodotte dalle APCs della mucosa giocano un ruolo cruciale nell’innescare e nel far propagare l’infiammazione intestinale, così come nel mantenimento dell’omeostasi. Per valutare, quindi, quali citochine sono prodotte dall’organismo ricevente in seguito a FMT, è stato analizzato il surnatante delle LMPC. I livelli di citochine pro-infiammatorie come TNF, IL1β e IFNγ risultano effettivamente più bassi nel surnatante di cellule esposte a microbiota proveniente da donatore sottoposto a FMT rispetto al surnatante di cellule esposte a microbiota proveniente da donatore trattato con DSS. Inoltre, il microbiota proveniente da donatori sottoposti a FMT è capace di “ingannare” le citochine prodotte dalle APCs: infatti, i livelli di TNF e la quantità di macrofagi sono fortemente ridotti in seguito ad esposizione a microbiota proveniente da donatore sottoposto a FMT, mentre, invece, la quantità di monociti e di cellule dendritiche che producono l’IL-10 è aumentata. Quindi, in seguito a trattamento con FMT, la presentazione dell’antigene batterico rappresenta un momento cruciale per evitare il controllo del sistema immunitario del colon.
IL-10 contribuisce notevolmente agli effetti benefici del trapianto fecale
L’IL-10 prodotta dalle cellule immunitarie intestinali sembra essere coinvolta nel meccanismo che induce tolleranza immunitaria (tolerogenico), come dimostrato in vitro durante coliti sperimentali curate con FMT. Per provare se lo stesso succede in vivo, i livelli di IL-10 e di cellule che la producono (APC, T CD4+ e iNKT) sono stati misurati nel colon. L’IL-10 in topi sottoposti a FMT torna a livelli fisiologici subito dopo la risoluzione dello stato infiammatorio. Per comprendere, poi, il contributo dell’IL-10 alla capacità anti-infiammatoria del FMT, un InVivoMAb IL-10R è stato somministrato a topi già trattati con DSS e sottoposti a FMT. Questo anticorpo lega l’IL-10 e quindi down-regola l’espressione di citochine pro-infiammatorie. IL-10, inibita, amplifica l’effetto protettivo del trapianto di microbiota, come dimostrato dalla ridotta lunghezza del colon e dalla perdita di peso, e dall’aumento dell’espressione nel colon di Tnf, IFNγ e Il1β. Questo, invece, non succede nel caso di topi in cui la FMT non viene eseguita, suggerendo quindi un ruolo fondamentale della microflora nel controllo dello stato infiammatorio mediato da IL-10.
L’eliminazione di batteri protettori compromette gli effetti del trapianto
Per collegare ulteriormente la composizione del microbiota intestinale agli effetti protettivi immuno-mediati durante uno stato infiammatorio intestinale, si è utilizzata la terapia a base di FMT con muco e feci isolate da topi in precedenza trattati per due settimane con antibiotici diretti contro organismi Gram positivi (vancomicina), Gram negativi (streptomicina), anaerobici (metronidazolo), oppure ad ampio spettro (ABX). L’RNA ribosomiale 16S estratto dai campioni dei microbioti dei diversi donatori è stato sequenziato per valutare la relativa composizione tassonomica, prima del trasferimento nell’organismo ricevente. Come atteso, l’alfa diversità dei campioni trattati con antibiotici era più bassa se confrontata a quella derivante dai campioni normobiotici. Una dettagliata analisi filogenetica ha fatto emergere una disbiosi importante nei campioni provenienti da donatori trattati con antibiotici se confrontati con quelli normobiotici. Mentre il FMT fatto con microbiota proveniente da donatori trattati con solo metronidazolo influenza positivamente il controllo dell’infiammazione intestinale, grazie all’aumento esclusivo della produzione di IL-10 ad opera delle APC del colon. Quindi, solo l’eliminazione dei batteri Gram positivi e negativi dalla composizione del microbiota influisce negativamente sugli effetti del FMT.
Il FMT sta diventando la terapia di prima linea nel trattamento di CDI ricorrenti antibiotico-resistenti. La sua applicazione curativa anche ad altre patologie gastrointestinali è agli inizi. È stato largamente comprovato l’importante ruolo di IL-10 nella risoluzione dello stato infiammatorio e nell’omeostasi intestinale: infatti, topi e pazienti incapaci di produrre questa importante citochina, a causa di difetti genetici, sviluppano infiammazione anche in condizioni di normobiosi. Non a caso, diversi studi dimostrano che il #VSL3, probiotico composto da un cocktail di otto diversi ceppi di Lactobacilli e Bifidobacteria, la cui presenza è peraltro associata a secrezione di IL-10, è estremamente efficace nella regolazione di stati infiammatori intestinali.