Un recente studio ha dimostrato che nei topi i batteri “buoni” presenti nell’intestino sembrano proteggere contro una malattia simile all’Alzheimer.
I risultati, pubblicati su Science Advances, suggeriscono che ottimizzare la composizione del microbiota intestinale attraverso una dieta sana o integratori alimentari può inibire lo sviluppo della malattia di Alzheimer (Alzheimer disease, AD), la malattia neurodegenerativa più comune.
L’Alzheimer è caratterizzata da accumuli di proteine nel cervello, che causano la morte delle cellule nervose. Sebbene l’invecchiamento sia il principale fattore di rischio, studi sulla flora intestinale dei pazienti con AD hanno dimostrato che la loro comunità batterica differisce da quella delle persone sane. Tuttavia, i meccanismi alla base dell’associazione tra la patologia e la composizione del microbiota intestinale rimangono da chiarire.
Per indagare come uno squilibrio nella composizione dei batteri che popolano l’intestino sia collegato all’AD, un team di ricercatori guidato da Ashfaqul Alam della University of Kentucky College of Medicine e Keqiang Ye della Emory University School of Medicine (Stati Uniti) ha analizzato topi geneticamente modificati che sviluppano l’AD a un’età di circa dodici mesi.
Alzheimer e asse intestino-cervello
I ricercatori hanno indagato in primo luogo la presenza di eventuali differenze nel microbiota intestinale dei modelli murini di AD rispetto a quello dei topi sani, osservando che fino a 6 mesi d’età le comunità batteriche presentano differenze limitate.
I ricercatori hanno invece rilevato uno stato di disbiosi, ovvero un’alterazione nella composizione della flora intestinale, nel momento in cui i topi sviluppano i primi sintomi dell’Alzheimer.
In particolare, nell’intestino di topi con AD è stato osservato un numero maggiore di batteri pro-infiammatori e minore di batteri antinfiammatori rispetto ai roditori sani.
I ricercatori hanno inoltre scoperto che lo squilibrio nella flora intestinale dei topi con Alzheimer è collegato a una maggiore attività del pathway di segnalazione denominato C/EBPβ/AEPm e noto per innescare la formazione di accumuli di proteine nel cervello, che portano alla progressione di AD.
I ricercatori hanno infine osservato che topi giovani inclini a sviluppare l’AD sviluppano la patologia più velocemente se alloggiati nelle stesse gabbie con topi più anziani affetti da AD invece che con topi sani. È stato ipotizzato che ciò avvenga perché i topi giovani vengono esposti al microbiota intestinale alterato dei roditori con Alzheimer.
Modificare il decorso della malattia
La somministrazione di antibiotici ai topi per “resettare” il microbiota intestinale ha attenuato l’accumulo di placche nel cervello, migliorando le funzioni cognitive. Anche il trattamento degli animali con farmaci che bloccano il pathway di segnalazione C/EBPβ/AEP ha rallentato lo sviluppo di AD.
«I nostri risultati supportano l’ipotesi che il pathway di segnalazione C/EBPβ/AEP sia attivato dalla disbiosi intestinale, implicata nei sintomi dell’Alzheimer a livello intestinale», affermano i ricercatori.
Sebbene siano necessari ulteriori studi per valutare in che misura i risultati ottenuti nei topi possano essere traslati nell’uomo, la ricerca suggerisce che una dieta ottimizzata o integratori alimentari probiotici potrebbero aiutare a contrastare lo sviluppo dell’AD o a rallentarne la progressione.