Alcuni batteri intestinali potrebbero influenzare l’umore e prevenire la depressione, secondo un nuovo studio di Mireia Valles-Colomer e dei suoi colleghi presso la KU Leuven-University.
I risultati, pubblicati su Nature Biotechnology, aggiungono prove all’ipotesi che i batteri intestinali siano in grado di influenzare la salute mentale negli esseri umani. Finora, la ricerca sulla “connessione cervello-intestino” era stata effettuata principalmente negli animali.
Per scoprire se tale connessione si applica alle persone, i ricercatori hanno combinato i dati sul microbioma di 1.054 belgi con la qualità della vita riferita dagli individui e i dati sulla depressione diagnosticati dal medico. Quindi, hanno cercato di trovare batteri associati all’umore. Il team ha convalidato i risultati su un secondo gruppo di 1.063 persone provenienti dai Paesi Bassi.
Un collegamento intrigante
In entrambi i gruppi, due tipi di batteri – Faecalibacterium e Coprococcus – erano più comuni tra le persone che avevano un’alta qualità della vita. Al contrario, le persone con depressione avevano livelli più alti della media di batteri Flavonifractor. Gli individui depressi avevano anche livelli costantemente bassi di Coprococcus e Dialister, indipendentemente dal fatto che assumessero antidepressivi o meno.
Inoltre, il team ha scoperto che le persone affette da depressione avevano più batteri implicati nella malattia di Crohn rispetto alle persone sane, suggerendo che l’infiammazione potrebbe avere un ruolo nella depressione.
Un dialogo tra cervello e intestino
Successivamente, i ricercatori hanno creato uno strumento computazionale per identificare i batteri intestinali che potrebbero interagire con il sistema nervoso umano. Usando questo strumento, hanno studiato la capacità di oltre 500 genomi batterici di produrre una serie di molecole neuroattive come la dopamina o la serotonina, neurotrasmettitori i cui livelli sono alterati nelle persone con depressione.
Per esempio, i batteri Coprococcus potrebbero essere in grado di produrre un metabolita della dopamina chiamato acido 3,4-diidrossifenilacetico, nonché una molecola anti-infiammatoria denominata butirrato.
Le persone che non rispondevano ai trattamenti per la depressione avevano microbiomi che erano meno propensi a sintetizzare queste molecole.
Sebbene lo studio non provi che questi batteri contribuiscono o proteggono dalla depressione, secondo gli scienziati i risultati potrebbero aprire la porta allo sviluppo di “psicobiotici” – microbi vivi che possono conferire benefici per la salute a pazienti affetti da malattie mentali.
Traduzione dall’inglese a cura della redazione