È un momento delicato e importante, il parto. Da molti punti di vista. Ma oggi sappiamo che è fondamentale anche per il microbiota intestinale del neonato.
Durante il parto e subito dopo la nascita milioni di microrganismi colonizzano l’intestino dei neonati. La maggioranza di questi batteri proviene dal microbiota intestinale della madre e circa l’11% di questi primi colonizzatori persiste durante il primo anno di vita.
È quanto emerge da uno studio pubblicato su Cell Reports Medicine, i cui risultati potrebbero avere applicazioni terapeutiche molto importanti.
«Identificare i ceppi che colonizzano l’intestino nei primi anni di vita, le fonti da cui provengono e i tratti genetici associati alla persistenza potrebbe consentire la messa a punto di terapie “microbiome based” utili nei soggetti in cui viene alterato il normale processo di assemblaggio del microbiota», affermano i ricercatori.
I primi colonizzatori microbici dell’intestino svolgono un ruolo chiave nella maturazione del sistema immunitario infantile e possono avere un impatto sulla salute dei bambini durante il loro sviluppo. «Se, come spesso accade, i primi colonizzatori dell’intestino dei neonati prematuri sono patogeni ospedalieri “persistenti”, è possibile che si osservino effetti a lungo termine sulla salute dei bambini», osservano i ricercatori.
Per analizzare la persistenza dei ceppi e la loro provenienza, Jillian Banfield della University of California, a Berkeley, e i suoi colleghi hanno seguito 23 neonati a termine e 19 prematuri per tutto il primo anno di vita.
Microbiota intestinale di madri e figli
I ricercatori hanno raccolto e analizzato più di 400 campioni fecali prelevati dai neonati (che sono stati suddivisi in sette gruppi in base all’età dei bambini al momento della raccolta del campione) e dalle loro madri.
I ceppi batterici rilevati durante i primi due mesi di vita sono stati classificati come “primi colonizzatori”; inoltre, sono stati definiti “persistenti” o “non persistenti” a seconda che siano rimasti o meno nell’intestino del bambino oltre gli otto mesi di vita.
I ricercatori hanno scoperto che circa l’11% dei primi colonizzatori persiste durante il primo anno di vita. I ceppi di Bacteroides e Bifidobacterium e quelli di Veillonella e Clostridium avevano rispettivamente maggiori e minori probabilità di persistere rispetto ad altre specie batteriche.
I neonati venuti al mondo dopo 38 settimane di gravidanza presentavano microbi più persistenti rispetto ai prematuri. I batteri persistenti Bacteroides vulgatus e Bifidobacterium breve sono risultati più comuni nei neonati a termine, mentre Bacteroides uniformis ed Escherichia coli avevano maggiori probabilità di persistere nei prematuri.
I batteri materni sono più persistenti
Analizzando i batteri condivisi tra i neonati e le loro madri, i ricercatori hanno scoperto che i ceppi di origine materna, principalmente Bacteroides, avevano maggiori probabilità di persistere rispetto ai ceppi provenienti da altre fonti. I ceppi “ereditari” sembrano quindi adattarsi meglio all’intestino dei neonati.
Ulteriori analisi hanno suggerito che l’arricchimento di geni per l’adesione superficiale, l’acquisizione di ferro e la degradazione dei carboidrati può favorire la crescita di commensali persistenti.
In particolare, i batteri con diversi enzimi che sintetizzano o scompongono i carboidrati avevano maggiori probabilità di persistere.
Una “flessibilità metabolica” sembra quindi favorire l’adattamento microbico all’intestino durante lo svezzamento dei bambini.
Cosa succede nei neonati prematuri?
Inoltre, è stato osservato un arricchimento di fattori di virulenza, compresi i geni che codificano per l’adesione superficiale e l’acquisizione di ferro, in ceppi di E. coli persistenti. Questi geni sono però tipicamente presenti in ceppi patogeni di E. coli. «Anche se non possiamo affermare se i ceppi residenti di E. coli portatori di geni di virulenza avranno effetti negativi a lungo termine sulla salute dell’ospite, la loro presenza esclusiva nei neonati prematuri implica che la prematurità può influenzare la composizione del microbioma infantile per un certo periodo di tempo» concludono i ricercatori.