Il microbiota cutaneo potrebbe presto entrare nelle aule di tribunale: l’impronta del microbiota della pelle sembra avere infatti tutte le carte in regola per diventare un nuovo strumento nelle mani delle indagini forensi. Anche migliore del materiale genetico sembrerebbe essere infatti la sua trasferibilità alle superfici nonché permanenza a temperatura ambiente. L’elevata inter-variabilità è poi, in questo contesto, un fattore fondamentale per la corretta assegnazione individuale.
È quanto conclude lo studio preliminare di Noemi Procopio e colleghi della Northumbria University (UK) di recente pubblicato su Journal of Forensic and Legal Medicine.
Il microbiota cutaneo a scopo forense
La pelle ospita innumerevoli microrganismi che ne garantiscono la corretta funzionalità e protezione.
Come per gli altri distretti, la sua composizione (tranne per taxa altamente espressi e compresi nel cosiddetto core) è altamente inter-variabile e influenzata da fattori esterni e dell’individuo stesso (età, genere ecc.).
Ne risulta pertanto una carta d’identità caratterizzante quel preciso individuo. Condividendo quindi analogie con quello che i forensi ricercano nella raccolta delle impronte digitali, potrebbe essere un valido strumento a supporto delle indagini.
Nonostante sia presumibile il trasferimento batterico dalla cute alle superfici, l’effettiva capacità di identificarlo e la sua permanenza rimanevano aspetti poco noti.
Scopo di questo studio è stato quindi quello di valutarli coinvolgendo 16 soggetti ai quali è stato richiesto di mantenere la loro abituale routine nei 15 giorni precedenti la deposizione dell’impronta microbica su un bicchiere.
Batteri della pelle Vs tracce genetiche
Parallelamente alla componente batterica è stata valutata dopo 30 giorni (temperatura ambiente) anche quella genetica per avere un confronto di affidabilità e copertura. Campioni di microbioma cutaneo di controllo sono stati prelevati contestualmente con le metodiche standard.
Dopo un opportuno filtraggio delle sequenze batteriche arrivando a ASVs (amplicon sequence variants) corrispondenti a 328 taxa si è visto come:
- 20 dei 22 campioni sono risultati idonei per le successive analisi, solo 5 per quanto riguarda la ricerca di materiale genetico
- Proteobacteria è il phylum generalmente più espresso (37,102 ASVs), seguito da Firmicutes (21,745), Actinobacteria (8,721), e Bacteroidetes (2,309)
- Confrontando i taxa presenti nel bicchiere con i campioni standard, 75 taxa sono risultati in comune (e quindi identificabili nel bicchiere), 253 solo nel campione
- 6 ASVs sono stati classificati come appartenenti al core del microbioma cutaneo ossia a livello di specie: 06f825b5 (Streptococcus agalactiae), 394eda29 (Actinobacillus delphinicola) e 923f521 b (Anaerosinus glycerini); due a livello dell’ordine: 65d43491 (Bacillales) e7d78ed99 (Actinomycetales), e uno a livello di famiglia: d46e2205 (Enterobacteriaceae). Un non identificato batterio dell’ordine Bacillales (Firmicutes, Bacilli) e un altro della famiglia Enterobacteriaceae (Proteobacteria, Gammaproteobacteria, Enterobacteriales) sono stati poi identificati in tutti le impronte nel bicchiere
- Identificati come ricorrenti nell’impronta sul bicchiere anche phyla Proteobacteria (56), seguito da Actinobacteria (36), Firmicutes (35) e Bacteroidetes (13), e, come ordini, Gammaproteobacteria (38), Actinobacteria (36) e Bacilli (26)
- All’identificazione di taxa comuni, è stato possibile associare taxa individualmente espressi in quantità variabile da 1 a 14 a seconda del campione.
Conclusioni
Nonostante si tratti di uno studio pilota con un limitato numero di soggetti e in un ambiente controllato, sembrerebbero esserci le potenzialità per implementare la ricerca del microbiota cutaneo a quella del DNA nelle indagini forensi. Ulteriori validazioni sono però necessari.