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Obesità infantile: studio indaga gli effetti dei prebiotici sul microbiota intestinale

Uno studio USA pubblicato su mBio ha indagato gli effetti di supplementi prebiotici in bambini o adolescenti obesi. Ecco cosa emerge.
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Obesità infantile: studio indaga gli effetti dei prebiotici sul microbiota intestinale

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Stato dell'arte
L’obesità infantile è un importante problema di salute pubblica. Il microbiota intestinale ha dimostrato, nell’adulto, un ruolo nel controllo del peso e dei disturbi metabolici correlati mediante la produzione di acidi grassi a corta catena (SCFAs). Questa relazione nei bambini/adolescenti è ancora da approfondire.
Cosa aggiunge questa ricerca
In questo studio i ricercatori hanno analizzato l’impatto del supplemento di 5 prebiotici commerciali sul microbiota intestinale di 17 bambini/adolescenti (10-18 anni) obesi monitorando il profilo di SCFAs in genere positivamente correlati al miglioramento dei parametri fisici e metabolici.
Conclusioni
In bambini/adolescenti obesi la produzione di SCFA dipende sia dal prebiotico sia dal microbiota intestinale commensale. Nessuna relazione significativa è emersa però con il contenuto di SCFAs fecale e i parametri clinici di obesità. Trattandosi di dati preliminari, ulteriori approfondimenti sono necessari.

In questo articolo

Gli effetti di supplementi prebiotici in bambini o adolescenti obesi dipendono sia dal tipo di prebiotico impiegato sia dal microbiota dell’ospite. Variabile è infatti l’aumento della produzione di acidi grassi a catena corta (SCFAs), metaboliti che negli adulti hanno mostrato benefici nel migliorare la condizione di obesità, relazione non confermata in soggetti giovani.

È quanto conclude lo studio di Zachary C. Holmes e colleghi della Duke University (North Carolina, USA), di recente pubblicazione su mBio.

Obesità nei bambini e microbiota intestinale

L’obesità infantile è un problema rilevante di salute mondiale con interventi terapeutici e/o chirurgici non sempre risolutivi. Negli adulti il microbiota intestinale ha da tempo dimostrato di essere un target nel controllo del peso e delle patologie metaboliche correlate attraverso la produzione di acidi grassi a corta catena (SCFAs) quali propionato, butirrato o acetato.

La loro induzione attraverso la somministrazione di prebiotici ha dimostrato effetti altrettanto positivi. Limitate le evidenze invece nei soggetti più giovani nonostante la crescente necessità di trovare valide alternative di cura.

I ricercatori hanno quindi valutato l’impatto del supplemento di cinque prebiotici commerciali (oligofruttosaccaridi, GOS; fruttoligosaccaridi, FOS; xyloligosaccaridi, XOS; destrina; inulina) sulla produzione batterica di SCFAs, sulla struttura del microbiota stesso e se questi cambiamenti siano correlabili a miglioramenti della condizione clinica.

Per farlo, un modello di fermentazione per i SCFAs in vitro è stato validato e successivamente utilizzato per l’analisi di feci da 17 soggetti obesi (10-18 anni d’età, 6 maschi e 10 femmine). Di seguito i principali risultati.

Acidi grassi a catena corta e prebiotici

Gli effetti dei prebiotici testati sulla produzione di SCFAs è eterogenea e, molto probabilmente, da correlare alla loro attività acidogenica. Infatti:

  • l’inulina ha prodotto la minor variazione di SCFAs (2.35 fold change medio), i GOS quella maggiore (3.55 fold change medio)
  • significativa è l’interazione tra il tipo di prebiotico e il soggetto come suggerisce l’intervariabilità della risposta
  • la produzione di SCFAs in vitro è rappresentativa dell’abbondanza batterica nei campioni iniziali
  • Lactobacillus ha mostrato correlazione positiva con la produzione di SCFAs in seguito a supplemento di XOS, negativa con i GOS. La maggior parte delle associazioni (positive) sono state però dimostrate con destrina. È il caso ad esempio di Akkermansia, Romicoccus, Parabacteroides, Butyricimonas

Conclusioni

La produzione di SCFAs non sembrerebbe avere un riscontro clinico. La loro concentrazione fecale non ha infatti prodotto alcuna associazione significativa con i marcatori di obesità (BMI, livelli insulinici ecc.).

Per concludere quindi, l’inter-variabilità tra soggetti e prebiotici stessi influenza la produzione di SCFAs intestinali pur non impattando significativamente sulla situazione clinica. Considerando le limitazioni di questo studio (in vitro, collezione dei campioni da parte delle famiglie, ridotto numero di soggetti ecc.) ulteriori studi sono tuttavia necessari per approfondire gli effetti metabolici.

Silvia Radrezza
Laureata in Farmacia presso l’Univ. degli Studi di Ferrara, consegue un Master di 1° livello in Ricerca Clinica all’ Univ. degli Studi di Milano. Borsista all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS dal 2017 al 2018, è ora post-doc presso Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics a Dresda (Germania).

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