L’elevata concentrazione di determinate specie batteriche a livello del microbiota vaginale potrebbe aumentare il rischio di infezione da HIV.
A determinarlo è stato lo studio, primo nel suo genere, di R. Scott McClelland, Jairam R. Lingappa e colleghi, pubblicato su The Lancet Infectious Diseases.
A differenza del resto del mondo dove a essere sieropositivi sono prevalentemente gli uomini, in Africa il 56% delle infezioni manifestatesi in questi ultimi anni sono a carico femminile.
In base a recenti studi, la vaginosi batterica, una disbiosi locale che spesso comporta anche un accrescimento nella produzione di citochine pro-infiammatorie, potrebbe favorire la trasmissione del virus nonostante le specie responsabili siano state, fino a questo lavoro, ancora poco delineate.
Il gruppo di ricercatori americani dell’University of Washington, a Seattle, ha quindi voluto approfondire questo aspetto prendendo come campione donne provenienti da 5 differenti coorti africane e con diverse situazioni socio-personali (prostitute, incinte, in post-parto e impegnate in relazioni con persone esprimenti un profilo HIV diverso dal loro).
Attraverso l’utilizzo di due innovative e più sensibili tecniche di PCR, sono stati dunque confrontati i tamponi di microbiota vaginale di quelle che hanno contratto l’infezione (n=87) con quelli ottenuti da donne rimaste sieronegative (n=262) durante il periodo di osservazione al fine di terminare le rispettive composizioni quali e quantitative (alpha e beta diversity).
Alle analisi con PCR sono state inoltre abbinate indagini statistiche per delineare la probabilità di rischio associata a un particolare profilo batterico.
È tuttavia importante tener presente come le analisi più approfondite siano state applicate solamente a 55 campioni provenienti da casi e altri 55 da controlli scelti random.
HIV e microbiota vaginale: ecco cosa è emerso
La biodiversità espressa dall’indice di Shannon è risultata maggiore nelle donne sieropositive rispetto ai controlli sani. Anche la ricchezza batterica quantificata con l’indice Chao1 è risultata più elevata nei casi, seppure in non maniera statisticamente significativa.
A questo proposito è bene sottolineare come, a differenza di tutti gli altri, il microbiota vaginale è fisiologicamente caratterizzato da una ristretta varietà di specie batteriche ed eventuali ampliamenti di generi commensali potrebbero, con ogni probabilità, favorire l’insorgenza di vaginosi batterica che, come accennato, a sua volta aumenta il rischio di HIV di circa 1 volta e mezza.
Le analisi univariate di composizione condotte sui campioni raccolti hanno inoltre evidenziato la presenza di 20 taxa e tra questi Parvimonas species tipo 1 e 2, Gemella asaccharolytica, Mycoplasma hominis, Leptotrichia/Sneathi, Eggerthella species tipo 1 e Megasphaera sono risultate le specie batteriche maggiormente presenti nei casi e più fortemente correlate all’aumento di rischio di infezione da HIV, in maniera concentrazione-dipendente. Più alto è il loro grado di espressione infatti e maggiore è la probabilità di rischio. Al contrario, un’alta presenza di Lactobacillus iners, sembrerebbe essere un fattore protettivo dalla trasmissione.
Attraverso questo studio è stata quindi confermata un’effettiva differenza nel microbiota vaginale tra donne sane e sieropositive e, per la prima volta, identificate le 7 specie batteriche vaginali attivamente coinvolte nel favorire il contagio di HIV aprendo dunque la possibilità di formulare terapie antibiotiche mirate per contrastarne la crescita.
Nonostante questo lavoro presenti alcune limitazioni tra le quali l’aver considerato solo donne africane e non aver approfondito i meccanismi che stanno alla base della loro azione promotrice, pone le basi per ulteriori ricerche che potrebbero un giorno portare alla definizione di approcci coadiuvanti, preventivi o difensivi nei confronti dell’infezione da HIV.