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Modulare il microbiota intestinale può migliorare i sintomi della depressione

La depressione è correlata a una alterazione del metabolismo, in particolare dei lipidi, e della funzionalità del sistema endocannabinoide.
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Modulare il microbiota intestinale può migliorare i sintomi della depressione

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Stato dell’arte
La depressione ha un elevato impatto nella nostra società con, spesso, una risposta alla terapia parziale o temporanea. Recenti evidenze dimostrano però una correlazione tra disordine dell’umore e alterazioni del microbiota intestinale aprendo la strada a possibili alternative di trattamento.

Cosa aggiunge questo studio
Attraverso modelli murini di depressione (UCMS), i ricercatori hanno valutato l’impatto del trapianto di microbiota fecale sullo sviluppo di comportamenti depressivi nei riceventi esaminando non solo i cambiamenti batterici e metabolici, ma anche la funzionalità cerebrale (sistema endocannabinoide).

Conclusioni
I riceventi hanno mostrato alterazioni fenotipiche correlabili ai donatori, accompagnate da un decremento della segnalazione endocannabinoide dovuto a un pari abbassamento degli acidi grassi precursori dei relativi ligandi. Tali effetti hanno però mostrato un miglioramento con il supplemento di Lactobacilli.

Comportamenti depressivi potrebbero essere correlati a un decremento di Lactobacilli con un conseguente calo di acidi grassi, i loro classici metaboliti, coinvolti nel processo di segnalazione del sistema endocannabinoide implicato nella patogenesi depressiva. Una corretta integrazione con Lactobacilli ha mostrato di migliorare la condizione clinica in vivo, aumentando sia l’attività endocannabinoide sia la neurogenesi ippocampale.

È quanto conclude lo studio di Grégoire Chevalier e colleghi dell’Istituto Pasteur di Parigi, di recente pubblicato su Nature Communications.

Depressione e intestino

La depressione colpisce oltre 300 milioni di persone in tutto il mondo, ed è una delle principali cause di disabilità.

Essendo una patologia multifattoriale, la patofisiologia rimane ancora da chiarire del tutto con, di conseguenza, carenze nello sviluppare terapie più efficaci.

Tra i meccanismi coinvolti troviamo anche una perturbazione di sistemi neuromodulatori quali monoaminergico ed endocannabinoide (eCB). Numerosi sono infatti gli studi che indicano come un’alterazione ippocampale (sede di questi due sistemi) sia coinvolta nella patogenesi depressiva.

Sempre maggiori sono poi le evidenze a sostegno di un ruolo del microbioma intestinale nei disturbi dell’umore e di come, in questi pazienti, ne siano alterate le caratteristiche (disbiosi). Il supplemento di probiotici ha di contro (in specifici casi) mostrato di migliorare la situazione con, tuttavia, meccanismi ancora poco chiari.

Per approfondire il ruolo del microbiota intestinale nel comportamento depressivo, i ricercatori hanno quindi utilizzato un modello murino depressivo (UCMS, unpredictable chronic mild stress).

Il trapianto di microbioma fecale da questi modelli (o da controlli) a donatori naïve ha poi permesso di analizzare meglio il ruolo batterico nella comparsa della sintomatologia e nell’eventuale modulazione neurologica. A ciò è stato poi associata la valutazione del metabolismo batterico. Di seguito i principali risultati.

Lo studio: trapianto di microbiota e depressione

Partendo con l’analisi della condizione clinica dei modelli in stato depressivo per una loro validazione si sono riscontrati, rispetto ai controlli:

  • diminuzione dell’istinto alla scoperta
  • comportamento apatico
  • ridotto aumento ponderale
  • nessuna differenza nei livelli ansiosi
  • ridotta neurogenesi ippocampale

Ma questi comportamenti sono trasmissibili? Apparentemente con il trapianto di microbioma fecale sì.

A otto settimane dal trasferimento, infatti, i riceventi germ-free o SPF (specific pathogen-free) da modelli UCMS (non quelli da donatori sani) hanno mostrato analoghi risultati ai test comportamentali (nuoto forzato, sospensione per la coda ecc.).

Diminuita anche in questo caso la proliferazione di cellule staminali neuronali, nella regione ippocampale in particolare.

Come spiegarlo? La risposta potrebbe venire dal profilo metabolico risultato alterato sia nei donatori sia nei riceventi UCMS con, rispetto ai controlli, ridotti livelli di mono- e diacilgliceroli oltre che di acidi grassi polinsaturi a catena corta (n-3/6 PUFA), acido arachidonico ad esempio.

Considerando come la deplezione di questi acidi grassi in siero e cervello sia risultata specifica per quelli a catena corta e di come proprio questi siano i precursori per i ligandi del sistema endocannabinoide (2-arachidonoylglycerol o 2-AG ad esempio), l’attenzione dei ricercatori si è concentrata su questo sottogruppo osservando che:

  • i livelli di 2-AG sono ridotti nei donatori e riceventi UCMS, con una forte associazione negativa con i livelli del prodotto 1-AG
  • nessuna altra marcata differenza per altri ligandi quali anandamide (AEA) nell’ippocampo dei riceventi
  • diminuita anche l’attivazione del pathway mTOR (mammalian target of rapamycin) coinvolto nella segnalazione del sistema cannabinoide, in seguito alla riduzione di 2-AG (suo agonista) anche a livello centrale.

Sistema cannabinoide e microbiota nella depressione

Per confermare ulteriormente il ruolo del sistema eCB nel comportamento depressivo, i ricercatori ne hanno poi favorito la segnalazione bloccando la degradazione del suo ligando 2-AG (JZL184) o/e, di contro, diminuendone l’attività somministrando antagonisti selettivi per i recettori CB1 (rimonabant o AM6545 da solo o con JZL184). Ecco quanto emerso:

  • il solo trattamento con JZL184 ha mostrato di aumentare l’attività di eCB ippocampale sostenuta da un incremento di espressione di p-mTOR, p-p70S6K, e p-rpS6. Più alti anche i livelli di 2-AG
  • l’attività di JZL184 ha inoltre mostrato una certa selettività per i recettori CB1 essendo stata del tutto annullata dalla co-somministrazione dell’antagonista rimonabant
  • migliorati nel gruppo con solo JZL184 anche i comportamenti depressivi e la neurogenesi ippocampale
  • a causa della sua ridotta penetrazione a livello centrale, AM6545 (altro antagonista dei recettori CB1) non ha annullato gli effetti di JZL184 suggerendo come il sistema CB1 sia necessario per la regolazione della sintomatologia.

Sostenere l’attività del sistema eCB potrebbe essere quindi un’opzione per alleviare la condizione depressiva. In che modo?

La somministrazione orale di acido arachidonico ai riceventi da UCMS in quanto precursore di 2-AG per 5 settimane dopo il trapianto ha dimostrato di:

  • ripristinare i normali livelli ippocampali del metabolita (2-AG) e AEA (anandamide) con una reversione dei comportamenti depressivi
  • una parziale ripresa nella produzione e aumentata sopravvivenza dei neuroni ippocampali
  • un aumento di n-3 e n-6 PUFA

Confrontando infine la composizione del microbioma fecale dei modelli UCMS e controlli ne è stata riscontrata una certa alterazione mantenuta anche a 8 settimane dal trapianto. Nei primi, in particolare, Ruminococcaceae e Porphyromonodaceae hanno mostrato un incremento contrapposto alla diminuzione di Lactobacillaceae.

In linea con quanto qui osservato, studi precedenti hanno mostrato una diminuzione proprio di Lactobacillaceae in relazione alla comparsa di sintomi depressivi.

Di contro, un loro supplemento ha registrato un miglioramento di tale condizione. Per confermarlo dunque, a riceventi UCMS è stato somministrato Lactobacillus plantarum (LpWJL) per 5 settimane a partire da 3 settimane dal trapianto dimostrando, come per il supplemento dell’acido arachidonico direttamente:

  • un aumento di 2-AG ippocampale
  • miglioramento nei comportamenti depressivi (come da letteratura)
  • aumento di n-3 e n-6 PUFA e AEA

Conclusioni

Per concludere quindi, la condizione depressiva ha mostrato di alterare il metabolismo, dei lipidi in particolare, e la funzionalità del sistema endocannabinoide.

Potrebbe essere quindi questa, o almeno in parte, la via di collegamento tra microbioma e disordini dell’umore.

La somministrazione di acido arachidonico o del ceppo probiotico Lactobacillus potrebbe tuttavia migliorare la situazione clinica sostenendo la funzionalità ippocampale.

Silvia Radrezza
Laureata in Farmacia presso l’Univ. degli Studi di Ferrara, consegue un Master di 1° livello in Ricerca Clinica all’ Univ. degli Studi di Milano. Borsista all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS dal 2017 al 2018, è ora post-doc presso Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics a Dresda (Germania).

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