Il microbioma materno contribuisce significativamente alla determinazione di quello del neonato anche se con caratteristiche di persistenza e colonizzazione diverse. I batteri provenienti dall’intestino hanno dimostrato infatti maggiore capacità di adattarsi al nuovo ambiente e di proliferare in maniera stabile rispetto a quelli che si trovano a livello cutaneo o vaginale.
È quanto conclude lo studio svolto al CIBIO dell’Università di Trento da Pamela Ferretti e colleghi e recentemente pubblicato su Cell Host & Microbiome.
Leggi anche: Gravidanza: placenta e utero sono davvero ambienti sterili?
Microbioma della mamma e del neonato: una questione di metodo
Come un neonato acquisisce il corredo batterico e come questo si sviluppa sono fattori chiave per la salute futura. Nonostante l’importanza di questi aspetti, molto rimane ancora da scoprire.
La modalità di nascita, la tipologia di allattamento, l’esposizione ambientale e a trattamenti farmacologici, sia della madre sia del neonato, sono tutte circostanze riconosciute di possibile alterazione batterica.
La maggior parte delle evidenze scientifiche a riguardo si basa tuttavia su studi condotti attraverso colture batteriche o sull’analisi di profili tassonomici limitati al solo livello di specie. Entrambi i metodi non sono sufficienti per descrivere al meglio l’intricato panorama delle interazioni e sottospecie batteriche.
Secondo gli autori di questo lavoro non era perciò ancora disponibile una valutazione complessiva del reale apporto del microbioma materno alla creazione e maturazione di quello del neonato. Per questo i ricercatori hanno applicato una tecnica di analisi metagenomica all’avanguardia e ad alta risoluzione, in grado di produrre risultati interessanti.
A conferma dell’importanza di un buon disegno di studio, Nicola Segata, co-autore e supervisore della ricerca, afferma: «La metodologia computazionale sviluppata per poter analizzare a risoluzione maggiore i dati metagenomici è alla base della nostra scoperta. Abbiamo dedicato anni nel nostro laboratorio per raggiungere questo obiettivo che è stato cruciale per questo e per altri studi in corso, anch’essi volti a caratterizzare la complessità del microbioma attraverso l’individuazione di singoli ceppi microbici.»
Lo scopo principale di questo studio è stato di valutare l’impatto del microbioma materno su quello del neonato. «L’idea è nata da una combinazione di fattori. Da un lato sapevamo come il microbioma del neonato si modifichi rapidamente nei primi mesi e anni di vita, dall’altro c’era molta incertezza su quali fossero le sorgenti dalle quali il microbioma acquisiva la sua diversità. Ispirati anche dagli studi sulla trasmissione dei patogeni, ci siamo quindi chiesti se fosse possibile tracciare le sorgenti di quei ceppi microbici presenti nel neonato.»
Campioni di microbioma intestinale, cutaneo, orale, vaginale e del latte materno sono stati dunque collezionati da 25 gestanti sane. A ogni neonato sono stati invece prelevati campioni solo di microbioma intestinale e orale in tempi successivi, a partire dalle prime ore dopo il parto e fino a 4 mesi d’età.
Profilo metagenomico dei diversi microbiomi
L’analisi quantitativa del profilo tassonomico ha evidenziato differenze tra le varie comunità batteriche prelevate sia dalle madri sia dai neonati in termini di biodiversità, struttura e composizione.
Nel dettaglio, il microbioma dei neonati ha dimostrato:
- Una diversità significativamente minore rispetto al microbioma della madre ad eccezione di quello vaginale, dominato quasi esclusivamente da Lactobacillus
- Alta variabilità inter-soggettiva a livello di intestino e cavità orale rispetto alle madri
- Nonostante il parto fosse avvenuto per via naturale, il microbioma dei neonati, anche nei primi giorni di vita, non presentava una così spiccata somiglianza con quello vaginale della madre, al contrario di quanto si poteva pensare dato il contatto diretto. Nessun forte associazione diretta era evidente nemmeno con le altre zone del corpo considerate
- Al primo giorno di vita i neonati presentavano alta diversità inter-individuale e mancanza di uniformità in termini di composizione, il che suggerisce un’influenza variegata da parte del microbioma materno e la concorrenza di altri fattori nel determinare il suo iniziale sviluppo
Acquisizione della diversità batterica
L’attenzione dei ricercatori si è poi focalizzata sulla valutazione della diversità batterica dei neonati monitorandola in vari momenti, dalla nascita fino a 4 mesi d’età (1 giorno di vita, 3, 7 giorni, 1 mese e 4 mesi).
- Dopo un alto grado di diversità registrato al primo giorno di vita, questo valore tende a decrescere per poi salire gradualmente fino a stabilizzarsi
- Il microbioma di bambini alimentati esclusivamente tramite allattamento al seno a 4 mesi ha mostrato una diversità minore rispetto a quello dei neonati che sono passati alla formulazione in polvere
- Il decremento di diversità batterica è supportato dalla presenza solo transiente di certe specie, probabilmente poco adatte alla colonizzazione tra le quali Alistipes putredinis, Clostridium innocum, Haemophilus parainfluenzae, Prevotella melaninogenica e Streptococcus parasanguinis
- Tra le specie trasferite dalla madre e maggiormente persistenti nell’intestino del neonato fino al termine dello studio troviamo Bacteroides vulgatus, Bifidobacterium longum, B. breve
- Con il tempo si è osservato un cambiamento del rapporto batteri anaerobi/aerobi a favore di questi ultimi
Trasmissione batteri dalla madre al figlio
Nel complesso, il microbioma dei neonati è risultato notevolmente arricchito dalla presenza di specie batteriche provenienti da quello materno per trasmissione verticale diretta pur mantenendo delle peculiarità.
- Al giorno 1, circa la metà della popolazione batterica del neonato è risultata in comune a livello di specie con almeno uno dei campioni prelevati dalla madre, valore abbastanza costante nel tempo. La restante parte deriva probabilmente da fonti ambientali
- Tutte le popolazioni batteriche materne prelevate dai diversi siti hanno dimostrato di contribuire al processo di trasmissione madre-figlio: per il 22.1% quelle intestinali, per il 16.3% quelle vaginali, per il 7.2% quelle della cavità orale e infine solo per il 5% quelle a livello cutaneo
- Con il tempo, i batteri provenienti da vagina, cute ma soprattutto dalla cavità orale hanno dimostrato un decremento suggerendo la loro scarsa capacità di colonizzare il tratto intestinale, probabilmente a causa di diverse condizioni, di pH per esempio
Microbioma intestinale materno: principale fonte di trasmissione
Nel processo di trasmissione batterica madre-figlio, considerando tutti i siti anatomici dai quali sono stati prelevati i campioni, l’intestino rappresenta il donatore di microbioma principale mentre la cavità orale quella meno influente.
Il numero di ceppi risultati in comune tra madre e figlio decresce tuttavia con il tempo con valori rispettivamente di 23 il giorno 1, 28 il giorno 3, 10 la prima settimana e il primo mese, 6 al termine dello studio. Queste fluttuazioni supportano perciò l’ipotesi di una selezione batterica nicchia-specifica dal complesso delle specie trasferite.
Tra le specie trasmesse e maggiormente in grado di colonizzare il nuovo ambiente intestinale troviamo E. coli, filotipo B2 in particolare, Bacteroidetes e bifidobacteria in generale.
Come la trasmissione verticale influenza la persistenza della colonizzazione
Anche la trasmissione microbica verticale, in generale, può comportare una colonizzazione transitoria o persistente a seconda dei ceppi.
Nel dettaglio, delle 49 specie trasmesse verticalmente:
- 17 sono state identificate in più occasioni a distanza di più tempo
- Solo 5 delle 17 persistenti, il 29.5% dei casi, sono state sostituite da altre specie batteriche nel microbioma del neonato
Di contro, delle 163 specie totali riscontrate nel microbioma del neonato per più di una valutazione a tempistiche differenti, ma con fonte probabilmente alternativa a quella materna, è stato riscontrato un tasso di rimpiazzamento del 73% vs un 29.5% di quello per le specie trasmesse verticalmente.
La trasmissione verticale appare dunque il miglior modo per assicurarsi una buona colonizzazione. Ciò supporta quindi l’ipotesi che i ceppi materni siano maggiormente adattabili rispetto a quelli provenienti dall’ambiente.
Diversità batterica nei campioni fecali: neonato vs madre
I ricercatori hanno poi analizzato l’eterogeneità complessiva a livello di varianti genetiche per ogni specie componente il microbioma e comparato i risultati tra neonato e madre. Per considerare anche l’eterogeneità dei ceppi di una data specie è stato inoltre valutato il numero di polimorfismi di singoli nucleotidi.
- L’intestino adulto tende a ospitare un solo ceppo di una data specie batterica con una media di siti polimorfici dello 0.31%
- Di contro, al giorno 1 il microbioma del neonato ha mostrato valori di polimorfismo 6.1 volte superiori a quello materno con conseguente alto grado di diversità sia di specie sia di ceppo
- I valori di polimorfismo intra-specie vanno tuttavia a decrescere e a stabilizzarsi in un range comparabile a quello degli adulti al quarto mese di vita mentre la diversità a livello di ceppo rimane superiore a quella materna
I batteri orali colonizzano maggiormente l’ambiente intestinale dei neonati rispetto a quello materno
Nonostante la cavità orale sia il cancello d’ingresso del tratto intestinale le composizioni batteriche dei due siti anatomici risultano molto spesso differenti. Focalizzandoci sulla coorte qui considerata:
- Una media di 9.8 specie sono risultate condivise nei neonati al giorno 1 tra i campioni fecali e quelli prelevati dalla cavità orale, gola più precisamente, scese a 7.2 al terzo giorno
- Le specie condivise scendono a 5.5 nei campioni materni
- Nel gruppo dei neonati le specie in comune hanno mostrato maggiore abbondanza di espressione nei campioni fecali rispetto alla cavità orale, contrariamente alle madri, e suggerendo che l’asse intestino-cervello nei nuovi nati sia più permissiva alla colonizzazione
- Nonostante al terzo giorno nei neonati si sia osservata una riduzione della numerosità di specie condivise, l’abbondanza di queste aumenta nella cavità orale
- Nei nuovi nati al giorno 1 Gardnella vaginalis, Propionibacterium acnes, Prevotella bivia, Atopobium vaginae e Prevotella melaninogenica sono risultate le specie maggiormente condivise tra i due siti, sostituite da Rothia mucilaginosa, Streptococcus parasanguinis e S. salivarius al giorno 3
- Rothia mucilaginosa e S. salivarius hanno dimostrato buona capacità di sopravvivere sia a livello intestinale sia nella cavità intestinale, almeno per un periodo di tempo limitato
Alcune delle specie trasmesse verticalmente non sono ancora caratterizzate
Per profilare le specie ancora poco caratterizzate i ricercatori hanno applicato, come anticipato, approfondite analisi di metagenomica. Nel complesso, sono stati rilevati 1.132 genomi e di questi:
- 736 sono stati assegnati a specie già note mentre i rimanenti 369 sono risultati non riconosciuti
- Streptococcus, Clostridium e Prevotella sono le specie di appartenenza della maggioranza dei generi non riconosciuti
I 369 genomi tassonomicamente non identificati sono stati quindi comparati tra loro per identificare l’eventuale presenza delle stesse specie in differenti campioni.
In sei casi i ceppi sono risultati condivisi tra il microbioma intestinale della madre e del neonato. Due di questi appartenevano rispettivamente ad Akkermansia e Bacteroides, mentre i restanti sono risultati di più difficile caratterizzazione.
Appare chiaro come questo sia stato uno studio ampio, ma al tempo stesso non privo di difficoltà. «Già in fase di ideazione dello studio abbiamo capito, che per tracciare una mappa di trasmissione batterica tra madre e neonato che fosse comprensiva di tutti i microorganismi presenti nel microbioma, non avevamo altra possibilità che utilizzare la metagenomica, senza basarci quindi sulla coltivazione. Tuttavia, la metagenomica non permetteva ancora di individuare varianti geniche di specie batteriche, cosa necessaria per verificare che il ceppo trovato nella madre e nel suo bambino fosse in effetti lo stesso. Abbiamo quindi dovuto sviluppare nuove tecniche computazionali per estrarre dal campione metagenomico le informazioni necessarie a individuare le varianti geniche dei microorganismi presenti.»
Alle difficoltà tecniche corrispondono però soddisfazioni in termini di risultati ottenuti e, a tal proposito: «L’aspetto che mi ha maggiormente colpito è che, sebbene il neonato entri in contatto con ceppi batterici provenienti sia dalla madre sia da altre sorgenti, i ceppi batterici materni hanno una probabilità molto più alta di colonizzare in modo duraturo l’intestino del neonato. La questione è affascinante in quanto suggerisce come la natura abbia in qualche modo voluto regolare, tramite l’evoluzione, la colonizzazione batterica del neonato fornendo alla madre i ceppi più appropriati per lo sviluppo del microbioma del suo bambino.»
Spinti dalla curiosità su questo argomento, abbiamo infine chiesto all’autore se, sapendo quali batteri buoni colonizzano più stabilmente il microbioma del neonato, sarebbe praticabile in futuro una valutazione della componente batterica materna durante la gestazione per verificarne la presenza ed eventualmente correggere l’alterazione con probiotici ad hoc.
«Teoricamente questo è un approccio possibile e potenzialmente percorribile. Tuttavia, la nostra ricerca e quella di altri colleghi indicano come sia estremamente difficile capire quali sono i batteri benefici per un neonato. Neonati diversi possono avere specie batteriche completamente diverse anche a parità di stato di salute, tipo di parto e pratiche di allattamento. Anche quando i neonati presentano almeno in parte le stesse specie microbiche, le varianti genetiche di tali specie sono diverse per oltre il 99% dei casi. È quindi impossibile al momento capire quali siano i batteri benefici per uno specifico neonato, perciò un approccio personalizzato al momento non è ancora percorribile.»
Pensando poi al futuro, Segata afferma che «abbiamo già iniziato ad ampliare l’ottica dello studio ai parti gemellari per capire quale sia la variabilità della trasmissione a parità di condizioni ambientali. Inoltre vorremmo caratterizzare meglio il microbioma del latte materno per studiare il suo ruolo come fornitore di microorganismi al neonato tramite l’allattamento. Sarà inoltre interessante coinvolgere altre popolazioni europee e africane, con uno stile di vita più tradizionale del nostro, per avere un altro metro di confronto.»